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La Dama di ferro che lucidava le perle. La politica Thatcher una grande donna

Una nuova biografia di Rosaspina sul primo ministro che guidò la Gran Bretagna dal 1979 al 1990

La Dama di ferro che lucidava le perle. La politica Thatcher una grande donna

Per l'epoca della Cortina di ferro, ci voleva una Dama di ferro. Per fortuna c'è stata: Margaret Thatcher (1925-2013), primo ministro inglese del partito conservatore, i Tory. L'uscita di una nuova biografia, scritta da Elisabetta Rosaspina, ci permette di esplorare la politica (di ferro) ma anche la dama. Parlando di sé ha detto alcune cose che meritano di essere ricordate. Primo: «Non sono stata fortunata, me lo sono meritato» (lo disse a nove anni ritirando un premio). Secondo: «Gli eroi non hanno estrazione sociale». Terzo: «Dobbiamo appoggiare i lavoratori e non gli imboscati». Ecco un intero programma politico e sociale in poche, semplici parole: tutti uguali alla linea di partenza, prevalga chi è più dotato, niente rendite di posizione, assistenzialismo o regali a clientele elettorali. Un programma esplosivo per l'Italia di oggi. Basterebbe applicarlo alla lettera per diventare la forza trainante dell'Unione europea. Purtroppo prevale, sia a destra sia a sinistra, la visione opposta: soldi per tutti, debito pubblico in impennata e tasse assassine per rimediare al buco incolmabile. Ma nelle parole della Thatcher non c'è solo un programma politico. C'è anche un programma sociale. La Thatcher ha conquistato il potere quando le donne, nel nostro Paese, arrivavano a stento in Parlamento. Per avere successo, non ha chiesto il permesso a nessuno: si è presa il potere, senza discussioni sulle quote rosa e senza diventare noiosa come un uomo. Una sua regola aurea recita: «Le perle non sono negoziabili».

Adorabile, dolce Margaret, chi non se ne sarebbe innamorato subito? Eppure è stata contestata da tutti, i più sciocchi ancora la considerano un simbolo del male e una affamatrice. Ma il suo realismo ha salvato l'Inghilterra dalla bancarotta e chi è venuto dopo di lei ha raccolto il frutto del suo genio e del suo coraggio, come il laburista Tony Blair stesso ha dovuto ammettere. Spesso è stata volutamente fraintesa. Disse: «La società non esiste». Ma il discorso proseguiva così, come ricorda Elisabetta Rosaspina: «La vita è un arazzo di individui, uomini e donne. La bellezza di questo arazzo e la qualità della nostra vita dipendono da quanta responsabilità ognuno di noi è disposto ad assumersi e quanto ognuno di noi è pronto a voltarsi e ad aiutare con i propri sforzi coloro che sono meno fortunati». Un discorso molto chiaro sulla responsabilità individuale. Ma vengono ricordate solo le prime quattro parole, per sottolineare «l'egoismo» della Thatcher. Difese la famiglia tradizionale, passò per omofoba, proprio lei, una dei pochi deputati conservatori a votare in favore della depenalizzazione l'omosessualità tra maggiorenni, reato fino al 1967. Lei, che aveva tra i collaboratori di spicco gay dichiarati come Ronnie Millar, commediografo brillante e spin doctor di talento.

Margaret Thatcher, Biografia della donna e della politica (Mondadori, pagg. 276, euro 22) è una lettura istruttiva oltre che divertente. Scritta con brio, poco italiana, racconta e non giudica. Mette l'accento sulla donna, mostrando aspetti della Thatcher meno noti delle sue idee liberali. Sottolineiamo: liberali ma non conservatrici. Al contrario, la Thatcher può essere considerata una rivoluzionaria. Dello Stato parasocialista che si trovò tra le mani non intendeva conservare niente, se non l'onore dell'Inghilterra stessa. L'Unione europea non la entusiasmava. Disse che il destino dell'Inghilterra era in Europa. Ma anche in questo caso aggiunse che «la Comunità non è però fine a se stessa», chiarì che la Gran Bretagna avrebbe conservato la propria sovranità, specificò che perfino l'Unione sovietica si era accorta dei vantaggi del «potere disperso» e delle «decisioni prese lontano dal centro». Insomma, l'attuale Unione europea, senza reale investitura popolare, un bizzarro impero senza imperatore, al servizio di una moneta comune, le avrebbe fatto orrore.

La donna di potere governò dal maggio 1979 al 28 novembre 1990, buttò giù la Cortina di ferro insieme a Ronald Reagan e Papa Giovanni Paolo II, vinse la guerra delle Falkland, rilanciò l'occupazione, sopravvisse a un attentato, diventò baronessa, morì per le conseguenze dell'Alzheimer nel 2013 a 87 anni. Veniva da un sobborgo di Londra, aveva lavorato come chimica, conosceva il pueblo e ottenne il suo consenso, col quale sbaragliò la nobiltà del partito conservatore.

E ora veniamo alla Dama, sempre fedele al marito Denis Thatcher, anch'egli attivista dei Tory, che sposò nel 1951. La Thatcher era figlia di un droghiere, non aveva grilli per la testa e amava studiare. Era chimica ma anche avvocato fiscalista. L'aspetto fisico non le interessava per niente. Giunta in vetta, diramò una circolare tra i deputati comunicando che riteneva ogni discussione sul suo aspetto «insulsa ed estranea alla sua carica». Quando entrò al 10 di Downing Street si sottopose a una dieta drastica (per lei). Trent'anni dopo fu trovato un biglietto con le indicazioni alimentari: ventotto uova alla settimana, succo di pompelmo, cetrioli, pomodori, olive, spinaci, occasionali bistecche, pollo freddo, caffè nero. Unico strappo: il whisky assieme alla carne. Lo staff provò a rifarle il look. Rinunciò a cappellini stravaganti ma davanti al tentativo di levarle le perle oppose un secco rifiuto, come abbiamo già ricordato. La voce era stridula. Su consiglio di Laurence Olivier si recò a un corso di dizione al Royal National Theatre. L'insegnante era Kate Flemming, che aveva o aveva avuto come altri allievi Olivier stesso, Peter O'Toole, Liv Ullmann, Mia Farrow, Anthony Hopkins. Con Kate condivideva l'amore per i gatti. Nel 2011 fu trovata la corrispondenza tra le due donne, legate da amicizia incrollabile.

Fedele ai valori piccolo borghesi della sua infanzia, la Thatcher detestava i privilegi e i divertimenti della nobiltà inglese. Considerava gli aristocratici supponenti debosciati incagliati in una ironia che ne mascherava a stento l'imbecillità. A Downing Street non volle lo chef, si nutriva di surgelati e stirava le camicie per tutti. Quando passò la soglia della leggendaria casa dei primi ministri inglesi disse: «Posso salvare questo Paese e nessun altro può farlo».

Era vero.

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