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Dark: la seconda stagione è un vero rompicapo

La seconda stagione di Dark è ancora più sconvolgente della prima, ma rischia di esagerare in una complessità fine a se stessa

Dark: la seconda stagione è un vero rompicapo

Dark, serie tv fantascientifica di Netflix, da alcuni giorni è disponibile con la sua seconda stagione, questa volta con 8 episodi.

La sparizione di alcuni bambini, le relazioni extraconiugali ed un suicidio erano solo il preludio di numerosi viaggi nel tempo che hanno reso Dark una delle serie tv più complesse degli ultimi anni. Il primo capitolo ha decretato un successo netto perché per la prima volta ed in modo centrale una serie tv si occupava dei viaggi nel tempo e del relativo intreccio che questo comporta, rivelandosi molto più di una “Stranger things made in Germany”. Se nella prima stagione abbiamo dato uno sguardo al passato, in particolare al 1986, in cui si trova Mikkel/Michael e al 1953, in cui si trova Ulrich, nella seconda stagione si va anche nel futuro, nel 2052, per poi tornare di nuovo nel passato nel 1921.

Viene fatta chiarezza sul ruolo di Noah, il misterioso prete che abbiamo visto essere responsabile, insieme a Helge Doppler, del rapimento dei bambini. Viene inoltre presentato un nuovo personaggio, Adam, a capo dell’organizzazione Sic Mundus Creatus Est. Ma la nuova stagione è anche e soprattutto una lotta tra bene e male, tra chi porta la luce e chi le tenebre. Da una parte c’è Claudia Tiedemann, dall’altra c’è Adam. Jonas, come tutti gli altri personaggi, è solo una delle pedine di questa grande scacchiera temporale che vede l’organizzazione Sic Mundus intenta a ripetere gli eventi che si sono sempre verificati, a cui si contrappone invece Claudia, viaggiatrice solitaria che vuole evitare l’apocalisse.

I nuovi episodi, in totale 8, sono ancora più complessi dei precedenti in quanto vanno ad intrecciare non solo gli eventi del presente e del passato, ma anche del futuro il quale, come detto più volte nel corso di Dark, influenza in modo diretto il passato. Parliamo della teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche, della concezione del tempo circolare, proprio come raffigurato dall’uroboro presente nella grotta. “Una volta qualcuno mi disse: ‘Il tempo è un cerchio piatto‘. Ogni cosa che abbiamo fatto o che faremo, la faremo ancora e ancora e ancora, e quel bambino e quella bambina si troveranno in quel posto ancora e ancora e ancora per sempre”, con queste parole Rust Cohle in True Detective ci spiega quello che Dark invece mostra con numerosi viaggi nel tempo e dialoghi tra i personaggi e loro stessi in differenti periodi, presentando allo spettatore un vero e proprio labirinto.

Quello che è considerato eccezionale in altri racconti, come in Ritorno al futuro, in Dark è ordinario. Doc Brown, nel secondo film di Ritorno al futuro, prospetta due conseguenze nel caso in cui una persona riveda se stessa in un’altra epoca: distruzione della tessitura spazio-temporale oppure un semplice svenimento. Insomma, vanno evitati i contatti diretti con se stessi nel passato o nel futuro. In Dark invece è la prassi e quindi il paradosso è ordinario: i personaggi rivedono e frequentano se stessi, impartendosi anche ordini di comportamento senza che questo sconvolga più di tanto loro o la realtà in cui vivono. Dark quindi si avvicina più ad altri titoli sci-fi che fanno del paradosso il fulcro della loro trama, come Predestination, film del 2014 con Ethan Hawke.

Si tratta di fantascienza e quindi tutto è concesso, ma nella seconda stagione di Dark la situazione sfugge un po’ di mano. La complessità che si viene a creare risulta essere fine a se stessa, a differenza di Westworld dove invece abbiamo a che fare con un universo pieno di dettagli importanti. Le motivazioni di Adam quindi passano tutte in secondo piano, sovrastate dagli intrecci dei vari personaggi e dai viaggi nel tempo.

Con il finale della seconda stagione Dark gioca al rilancio e apre a nuovi molteplici scenari che preannunciano ad un terzo capitolo (già in lavorazione) da mal di testa, in cui l’importante non sarà più capire “quando è chi”, ma “chi è chi”.

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