Cultura e Spettacoli

David Bowie, camaleonte del '900 figlio di Andy Warhol

Una grande mostra al Victoria and Albert Museum per onorare il "Duca bianco". Il primo artista globale

David Bowie, camaleonte del '900 figlio di Andy Warhol

David Bowie è ovunque. Londra è invasa di manifesti con l'effigie della popstar accompagnata da slogan a effetto. A Bowie piacerà soprattutto quello che cita 1984 di George Orwell, una sua grande passione: «David Bowie Is Watching You», David Bowie ti sta osservando.

Per oltre quarant'anni Bowie è stato centrale. Musica, moda, design, grafica, cinema: pochi artisti del Novecento si sono rivelati eclettici come lui. Per questo il Victoria and Albert Museum di Londra, regno delle arti applicate, inaugura (in collaborazione con Gucci) la mostra-evento David Bowie Is dedicata al cantante (a cura di Victoria Broackes e Geoffrey Marsh, dal 23 marzo all'11 agosto). È un caso unico: per la prima volta una rockstar entra in una istituzione così prestigiosa per essere «indagata» in ogni suo aspetto culturale.

L'esposizione rispetta solo in parte la cronologia per offrire una suggestiva visione d'insieme delle trasformazioni del musicista. All'inizio degli anni Settanta Bowie celebra il connubio fra pop art e glam rock, inventandosi l'alter ego Ziggy Stardust all'insegna della ambiguità sessuale.

Nel periodo berlinese (1977-1979) sdogana la musica elettronica e d'ambiente, incarnando un nuovo algido personaggio, il Duca Bianco, in linea con l'atmosfera da cortina di ferro. All'alba degli Ottanta si trova capofila della cosiddetta new wave con un look da Pierrot. Nel mezzo riesce anche a recitare a Broadway e nella pellicola d'autore L'uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg (1976). Il personaggio dell'alieno «alienato» interpretato in quest'ultima occasione gli resterà appiccicato addosso come una seconda pelle.

Il segreto di Bowie è mescolare la grande arte con l'arte della strada. Per questo David Bowie Is incorona Bowie come erede diretto di Andy Warhol, nonostante i complessi rapporti personali tra i due, documentati da un video girato alla Factory. Già, ma come rimanere sempre al passo coi tempi, riuscendo talvolta ad anticiparli? Si capisce alla perfezione dalla mostra londinese: Bowie non sarebbe Bowie senza l'aiuto determinante di collaboratori in grado di realizzare le sue visioni. Non parliamo solo di musica, campo nel quale il Duca Bianco ha condiviso le sue glorie con personaggi del calibro di Brian Eno, Tony Visconi e Robert Fripp.

Vediamo il capitolo design. Il fotografo Brian Duffy per due volte ha regalato a Bowie lo status di icona pop. Suo il ritratto di Ziggy Stardust sulla copertina di Alladin Sane (in assoluto l'immagine più nota di Bowie). Sua, in collaborazione col grafico e pittore Edward Bell, anche la copertina dal gusto post-moderno dell'album Scary Monsters, con un Bowie in stile neoromantico-clownesco. (Duran Duran e affini devono avere osservato e preso appunti). Il «reperto» più significativo è la copertina di Lodger, terzo disco berlinese di Bowie, analizzata con cura nel catalogo. La posa cita le crude immagini di «nera» del leggendario fotoreporter Weegee ma anche certi ritratti di Egon Schiele. Ancora una volta c'è lo zampino di Duffy ma l'insieme assume un tono diverso grazie a Derek Boshier, sodale di David Hockney, che recupera addirittura Mantegna. Cultura bassa e cultura alta: questa è forse l'immagine che meglio racchiude la personalità di Bowie in cui convivono l'amante della strada e l'intenditore di arte, il rocker viscerale e l'avanguardista elettronico. Che dire poi della copertina del nuovo album The Next Day, il primo dopo dieci anni di silenzio? Sulle prime è sembrata puro non sense: in fondo, si è detto, è solo un quadrato bianco che cancella quasi completamente la vecchia copertina di “Heroes”, successo mondiale del 1977. La scelta radicale di Jonathan Barnbrook passerà alla storia del design, si accettano scommesse.

Veniamo alla moda. I costumi di scena sono il cuore della mostra. Bowie ha sempre captato i segnali provenienti sia dai club sia dall'haute couture. Gli abiti degli anni Settanta, periodo Ziggy, sono soprattutto eccentriche invenzioni del sarto Freddie Burretti. Quindi verrà l'infatuazione per lo stilista Kansai Yamamoto, dal gusto teatrale. Più tardi ancora sarà il momento di servirsi da altri fuoriclasse. Negli Ottanta da Natasha Korniloff. Nei Novanta da Alexander McQueen. Risultato? Oggi Bowie influenza le passerelle, come testimonia, un esempio fra i molti possibili, la collezione primavera/estate 2013 di Jean Paul Gaultier, ispirata a Ziggy Stardust.

Nel settore cinematografico, c'è l'imbarazzo della scelta. A parte i ruoli di attore in pellicole di culto come Miriam si sveglia a mezzanotte o Furyo, nella strategia di Bowie il video è stato centrale fin dal 1973, anno del pionieristico filmato girato da Mick Rock sulle note del singolo Life On Mars?. In mostra ha uno spazio rilevante il magnifico Ashes to Ashes di David Mallet nato da uno storyboard disegnato da Bowie stesso. È considerato il primo videoclip moderno. Non è inteso però come semplice strumento promozionale ma come autonoma forma d'arte.

Nelle sale del museo c'è il materiale dell'archivio privato di Bowie: le foto, i filmati inediti, i disegni autografi, i testi delle canzoni (realizzati con la tecnica del cut-up di Burroughs ma eseguita al computer come spiega l'artista stesso in un filmato). Non mancano scrittori, registi, attori, artisti amati da Bowie: Orwell, Ballard, Burroughs, Joyce, Kubrick, Lang, Warhol, Gilbert & George, Marlene Dietrich, Laureen Bacall, Greta Garbo, il mimo Lindsay Kemp. Sono oltre trecento oggetti.

David Bowie Is, recita il titolo. Chi è David Bowie? Qualcuno lo accusa di essere soprattutto un astuto pubblicitario, abile nel cavalcare i trend del momento. Una risposta, forse, arriva dal manifesto di cui si diceva all'inizio. David Bowie è... uno che reagisce a ciò che vede e lo trasforma in qualcosa di nuovo.

David Bowie ci sta osservando.

Commenti