Cultura e Spettacoli

Il delicato ritratto di un faccendiere

di Joseph Cedar con Richard Gere, Michael Sheen, Steve Buscemi

Il delicato ritratto di un faccendiere

Il film parte in salita, nel senso che ci metterete almeno dieci minuti per entrare nell'ordine delle idee e capire di cosa tratti il soggetto, sommersi da frenetiche informazioni sul lavoro del protagonista, decisamente più confusionarie che utili. Tenete duro perché, pagato lo scotto iniziale e prima di rimpiangere i soldi sborsati per il biglietto, entrerete in un meccanismo coinvolgente che vi sedurrà fino ad un finale non scontato. Molto del merito di tutto questo va a un ritrovato Richard Gere che, contingentato il suo solito campionario di occhi strizzati, conferma, una volta di più, di essere un signor attore. Talmente bravo che finirete per prendere a cuore le peripezie del suo Norman Opphennaimer, sorta di faccendiere poco affaccendato, che cerca di costruire, a New York, una propria attività facendo promesse quasi sempre disattese. «Le serve qualcosa»? «Ci penso io», facendo pesare, agli occhi dell'interlocutore, conoscenze che, in realtà, sono fittizie. Una sorta di mercante di promesse, uno scommettitore del «ghe pensi mi». Lui illude, ma senza cattiveria l'altro: «vuole che le presenti il responsabile degli esteri? E' un mio caro amico», sperando, prima o poi, in qualche modo, di riuscire ad esaudire la richiesta. Un giorno, incrocia la strada di Micha Eshel, giovane politico israeliano, al quale regala un paio di scarpe costosissime, pur di convincerlo a partecipare ad una cena importante (al cui organizzatore aveva dato per certa la presenza di Eshel). Ovviamente, lui non ci andrà, ma tra i due nascerà una sorta di amicizia. Sorpresa vuole che qualche anno dopo, Micha venga eletto Primo Ministro e che si ricordi ancora di quello strano Norman. Che sia la svolta per Opphennaimer? Un film a metà tra commedia e dramma, che prende in giro gli ebrei (dal politico al rabbino), ma senza cattiveria. Sarebbe limitante, però, ascrivere la pellicola solo a questo. In realtà, è un bel ritratto umano, ottimamente scritto, delicato, che potrebbe rappresentare il manifesto di una generazione che si è dovuta «improvvisare» per sopperire alla crisi occupazionale.

Con finale spiazzante.

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