Cultura e Spettacoli

Didi-Huberman Ma davvero l'arte non conosce trasgressioni?

Andrea Caterini

Nel capolavoro di Musil, L'uomo senza qualità, troviamo scritto che «nella storia del mondo non accade mai nulla d'irragionevole». È un'asserzione che potrebbe esser posta in esergo all'ultimo libro tradotto in Italia del filosofo e storico dell'arte Geoges Didi-Huberman, Davanti all'immagine. Domanda posta ai fini di una storia dell'arte (Mimesis, pagg. 356, euro 26; a cura di Matteo Spadoni). Alla storia dell'arte Didi-Huberman rimprovera che nel suo essersi fatta appunto «storia», a partire dalle Vite del Vasari fino all'apice, nel Novecento, della sua speculazione teorica con Panofsky, ha rinunciato alla realtà dell'opera a favore di una teleologia, cioè di un fine, di uno scopo. Detta altrimenti, l'arte, storicizzandosi, è divenuta un sistema logico, quindi chiusa. Un sistema di questo tipo non ammette che ci sia «nulla d'irragionevole»; a una causa è necessario corrisponda un effetto, a uno stile pittorico ne succederà necessariamente uno conseguente, perciò è logico che da Giotto lì dove si è deciso che l'arte, anzi la sua storia, finalmente rinasceva dopo il sonno medioevale si arrivi alla perfezione di Michelangelo oltre il quale non può esserci altro, se è vero che ogni storia, se prevede un inizio, una nascita (o rinascita), non può non contemplare anche una fine, una morte. Per non mettere in pericolo la ragione di questa teleologia, per non rinunciare alla conquista del «sapere» che se ne ricava, gli storici hanno fatto affidamento al visibile della rappresentazione, sono divenuti loro stessi imitatori, mostrando, descrivendo l'evidente (di un quadro, una influenza, una tradizione), ma rinunciando volontaristicamente a ciò che ancora agisce nell'opera, che è poi la sua ragion d'essere, il suo «inconscio» (e il riferimento a Freud e alla sua Interpretazione dei sogni è esplicito e molto argomentato da Didi-Huberman): «Sapere oppure vedere.

Si tratta di pensare la tesi insieme all'antitesi, l'architettura con le sue faglie, la regola insieme alla sua trasgressione, il discorso con il suo lapsus, la finzione insieme alla sua disfunzione, oppure il tessuto con la sua lacerazione».

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