Cultura e Spettacoli

Dino Terra, il ribelle che dichiarò guerra al Vate

Ecco il pamphlet che lo scrittore lanciò contro D'Annunzio che occupava Fiume. Un testo sbagliato ma bellissimo

Francesco Perfetti

Sul finire del 1919, mentre l'esaltante avventura fiumana era ancora alle prime battute e il Paese si raccoglieva entusiasta attorno all'audace colpo di mano del poeta-soldato, apparve a Roma un piccolo pamphlet dal titolo D'Annunzio e il caso Fiume. L'autore, Armando Simonetti, era un giovanotto di appena 16 anni, il quale più tardi, a partire dalla metà degli anni '20, avrebbe acquisito una certa notorietà nel mondo delle lettere e, più in generale in quello culturale, utilizzando lo pseudonimo Dino Terra. Come molti coetanei anch'egli era stato sedotto dal mito della rivoluzione e da certe manifestazioni di avanguardismo letterario, tutte percepite, però, quasi esclusivamente nella dimensione eversiva e contestatrice di un ordine e di una mentalità borghesi. Era, si potrebbe dire, un anarco-comunista, imbevuto di moralismo: uno di quegli intellettuali sedotti da una visione elitaria e illuministica della politica al cui sviluppo non era stata estranea una particolare lettura dell'eclettismo dell'ambiente vociano.

Il suo bagaglio culturale era già all'epoca molto ricco, vario, per certi versi contraddittorio e, soprattutto, cosmopolita. Comprendeva filoni della poesia francese, suggestioni estetiche derivate da Schiller, il realismo e lo scetticismo machiavelliani, la speculazione crociana, il messianismo di Mazzini, e poi, ancora, il sindacalismo rivoluzionario di Sorel, l'individualismo anarchico di Stirner e il superomismo di Nietzsche. È davvero curioso il fatto che un giovane come lui, crocevia di stimoli intellettuali disparati, decidesse di esordire nel campo delle lettere prendendo una posizione così inequivocabile contro D'Annunzio, poeta ed eroe, e contro l'impresa fiumana. Più tardi, divenuto ormai un autore ben conosciuto, Dino Terra disconobbe quel suo lavoro giovanile al punto da destinarlo alla distruzione. Ritrovato fortunosamente fra le sue carte, il pamphlet appare oggi con il titolo originale, D'Annunzio e il caso Fiume (Marsilio, pagg. XXVI-38, Euro 13) in una bella edizione curata da Paolo Buchignani per conto della Fondazione Dino Terra.

La polemica contro D'Annunzio è soprattutto di tipo estetico e moralistico, prima ancora che politico. Il giovane Terra, affascinato dalla lettura di Nietzsche al punto da riprodurne lo stile letterario nelle pagine iniziali del pamphlet, imputa al poeta una mistificatoria utilizzazione del concetto di «superuomo», che nella versione dannunziana sarebbe, a suo parere, «l'opposto» di quello ideato da Nietzsche: «il superuomo dannunziano, sceso dalle nebulose e nevose cime delle montagne nordiche, a bearsi di sole nelle scintillanti aurore meridionali, non può essere che un sensuale, un idealista del piacere, che nasconde in un impeto lirico le debolezze della sua spina dorsale». L'edonismo, l'istrionismo, l'estetismo, la ricerca del puro piacere costituirebbero la cifra identificativa della poetica dannunziana e spiegherebbero anche, in certo senso, le sue scelte.

«Artista della decadenza», Gabriele D'Annunzio non appariva al giovane Terra neppure come un eroe perché il suo eroismo altro non sarebbe stato se non «il disprezzo della vita» da parte di chi, come appunto il poeta-soldato, prigioniero del suo decadentismo e del suo istrionismo, concepiva la guerra come «uno sport, per quanto pericoloso», come «un titolo di gloria» da acquisire, come un modo per «incontrare la bella morte». Accingendosi ad occupare Fiume, in quell'ultimo scorcio del 1919, D'annunzio si sarebbe comportato non come un eroe e un rivoluzionario, ma come un «avventuriero» spinto da un «esibizionismo da commediante» che aveva portato allo sbaraglio una «folla d'intrepidi». La critica di Terra è impietosa ma soprattutto ingiusta perché nelle trincee della Grande guerra, l'estetismo di D'Annunzio era venuto meno di fronte alla realtà del conflitto e il solipsismo del poeta-soldato si era trasformato in cameratismo fondato sulla coralità del sacrificio. Quando D'Annunzio si accinse all'impresa di Fiume, nella sua personalità la dimensione politica e realistica aveva preso il posto di quella estetica e letteraria.

Nello «spinoso affare di Fiume», per usare le parole di Terra, si scontravano «due tendenze, materialistica l'una, l'altra idealistica» espresse, rispettivamente, da Wilson e da D'Annunzio, cioè «il rappresentante del denaro e un poeta»: da una parte c'erano le mire dei capitalisti, i «miliardari» che volevano avere «il loro punto d'appoggio sull'Adriatico» e, dall'altra parte, «la santissima aspirazione degli italiani di annettere alla madre patria la martire città». Questa analisi lascerebbe presumere che il giovane Terra, per le sue origini e frequentazioni intellettuali tanto d'avanguardia quanto rivoluzionarie, seguisse il poeta-soldato. Così, del resto, avevano fatto altri giovani rivoluzionari con i quali egli stesso avrebbe collaborato, come per esempio i futuristi Emilio Settimelli e Mario Carli, subito accorsi a Fiume. Da quel che si evince dal sulfureo e suggestivo pamphlet di Dino Terra, l'opposizione a D'Annunzio è culturale contro il suo decadentismo, moralistica per il suo individualismo, ma anche politica perché, malgrado le apparenze, il poeta-soldato non appariva come un vero rivoluzionario.

Nella sua bella introduzione al giovanile pamphlet dello scrittore toscano, Paolo Buchignani ricorda come Terra avesse ripudiato abbastanza presto questo scritto d'esordio al punto da volerne la distruzione materiale. Secondo lo studioso la decisione di Terra di far scomparire le tracce del saggio giovanile, pur pregevole dal punto di vista letterario, non sarebbe dovuta a un mutamento di giudizio sul poeta ma a motivazioni di tipo politico. Già all'indomani dell'impresa di Fiume infatti, Terra, a partire dal biennio 1921-1922, aveva cominciato ad accentuare, all'interno della sua visione rivoluzionaria della politica un «elemento sociale e internazionalista» fondato sul concetto di «rivoluzione mondiale» a scapito dell'elemento «nazionale-risorgimentale e pacifista» presente, insieme all'«anticapitalismo» nello scritto su D'Annunzio e il caso Fiume.

L'ipotesi di Buchignani appare verosimile, anche se rimane comunque il mistero del rifiuto di un testo letterariamente molto bello che lascia intendere, al di là delle intenzioni dell'autore, una sorta di imbarazzato e imbarazzante odio-amore nei confronti di D'Annunzio. Un odio-amore che trova una spiegazione proprio nel suo moralismo elitario e intransigente poco compatibile con l'istrionismo e il superomismo dannunziani. Sta di fatto, comunque, che il «rivoluzionarismo» di Terra si rafforzò durante gli anni venti e trenta assumendo i connotati di un «sovversivismo antiborghese» che univa espressioni di ultra-fascismo rivoluzionario con pulsioni culturali di derivazione anarchica e addirittura comunisteggiante.

In contatto col padre del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, e con il Teatro degli Indipendenti animato da Anton Giulio Bragaglia, ma anche con l'anarchico russo Bielinski e personalità dell'antifascismo, Terra fu intellettuale di grande spessore, personalità di rilievo culturale anche nel secondo dopoguerra, il cui nome e la cui opera meriterebbero maggiore considerazione.

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