Cultura e Spettacoli

«Distinguere bello e brutto è un affare complicato»

Giovanni Terzi

Incontrare Rudy van der Velde è come ripassare la storia della grafica e dell'editoria degli ultimi cinquant'anni. Art director, giornalista ma soprattutto artista ha accompagnato i più grandi successi editoriali italiani dal Corriere della Sera alla Rusconi e alla Mondadori. Una libertà artistica che si declina in quello che viene chiamato «New Kitsch» e che troverà nella mostra Criceti #nutrirsidarte (7-8-9 giugno presso il MAC di Milano con la Fondazione Maimeri) la sua naturale evoluzione.

Rudy racconti un episodio OFF della sua vita?

«Quando m'innamorai, ormai cinquant'anni fa di mia moglie Maria, italiana, decisi di vivere in Italia e di prendere la cittadinanza. Ci misi circa 12 anni, io olandese, e quando la ottenni soltanto alcuni giorni dopo venni chiamato per il servizio militare: avevo 34 anni».

Tra pochi giorni aprirà la mostra Criceti con la Fondazione Maimeri; perché questo nome?

«Criceti è un modo per prendersi gioco del mondo dei critici (Cri-ceti=Cri-tici) in un simbolismo che vede molto spesso coloro che giudicano l'arte in una sorta di gabbia apparentemente dorata, in realtà una gabbia e basta. Il critico pensa di essere uno spirito libero e invece si ritrova troppo spesso all'interno di un mercato di cui lui, prima di tutti, è vittima».

New Kitsch, ossia nuovo cattivo gusto, come nasce questa esperienza?

«Siamo tutti borderline e la distinzione tra bello e brutto è molto complicata. Ho iniziato a collezionare oggetti apparentemente slegati uno dall'altro ma che rappresentavano le mie esperienze in giro per il mondo; pian piano questi oggetti si sono montati raccontando la storia di alcuni personaggi. Però il Kitsch è un linguaggio artistico usato sovente da artisti come Baj, Duchamp, Magritte e molti maestri della pop-art».

Gillo Dorfles dice di lei l'opera di Rudy van der Velde merita di essere analizzata e giudicata alla stregua di un'opera artistica: che ne pensa ?

«Credo che Dorfles abbia colto nel segno la mia poetica; a lui è dedicata una mia opera nella mostra».

E per lei cosa è il Kitsch?

«Rispondo con una definizione del mio amico Elio Fiorucci: non avendo mai amato le categorie trovavo quella del Kitsch l'estetica in assoluto più libera e arbitraria».

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