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Ma le donne scrivono meglio degli uomini?

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Ma le donne scrivono meglio degli uomini?

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Davide Brullo

Nonostante uno degli innumerevoli modi per definire l'organo sessuale maschile sia «penna» o «pennone», come se l'uomo fosse lo spermatico romanziere della vita sulla terra, sembra che si scriva meglio con... il sesso femminile. L'ennesima variazione su una polemica poco eccitante, la propone John Boyne, scrittore irlandese tradotto con brio da Rizzoli (il sui libro più celebre, tradotto anche in pellicola, è Il bambino con il pigiama a righe) che sul Guardian qualche giorno fa ha vergato (appunto...) la sua opinione natalizia: Women are better writers than men. Le donne sono scrittrici migliori degli uomini. Lo spunto per l'assoluto assioma estetico è venuto a Boyne guardando una tovaglia, in un bar di Dublino. Sulla quale sono riprodotti i grandi scrittori d'Irlanda, branditi con orgoglio, e Boyne s'indigna, «manca una vagina...».

Pompiere del femminismo, Boyne vorrebbe sostituire James Joyce, Samuel Beckett, Oscar Wilde, Jonathan Swift, tutti scrittori «mosci» ai suoi anatomici occhi, con Molly Keane, Edna O'Brien, Maria Edgeworth... Ma chi sono? A dire di Boyne, in un pensiero intriso di acido (formidabile la battuta su Jonathan Franzen: «Tre minuti e mezzo dei Pet Shop Boys sono più ispirati e ironici di 600 pagine di tedio alla Franzen») che mette sullo stesso rogo John Updike, Norman Mailer, Gore Vidal, Saul Bellow e Philip Roth («Nonostante la loro determinazione a sopravvivere ai posteri, chi li legge ancora se non per spolverare lo scaffale?»), non è più una questione di «quote rosa», sono gli «azzurri» gli ometti a dover abbandonare il parlamento della grande letteratura. Se gli scrittori «sono ossessionati dalla propria reputazione più che dalla creazione di un romanzo impeccabile», le scrittrici «dovendo allevare i figli, gestire la casa e soddisfare le attese della società» riescono a «comprendere la complessità umana e a creare personaggi romanzeschi davvero autentici».

Immaginate in Italia. Sostituire Giacomo Leopardi, Ugo Foscolo e Petrarca con gli stornelli di Vittoria Colonna, preferire Ada Negri a Eugenio Montale, cestinare Calvino facendo posto a Sibilla Aleramo, esaltare Liala rispetto al quello «scassa...» di Gadda.

Io non credo nei generi letterari ma solo nei grandi libri figuriamoci se ho fede nei generi sessuali. Lo scrittore, in effetti, è un transgender: George Eliot è lo scrittore più virile dell'Inghilterra vittoriana e al cospetto della spietatezza lirica di Emily Dickinson il povero Walt Whitman fa l'effetto di vile castrato; d'altronde, i più alti personaggi femminili del romanzo occidentale li hanno creati dei maschietti (Tolstoj e Flaubert), il più magnetico romanziere moderno è una donna giapponese vissuta mille anni fa (Murasaki Shikibu) e non esiste poeta più femminile di Boris Pasternak.

In letteratura non conta chi ce l'ha più lungo ma chi è più bravo: ora come ora, semmai, da Andrea Bajani a Simona Vinci, da Valeria Parrella a Nicola Lagioia, da Loredana Lipperini ad Alessandro D'Avenia è la fiera degli asessuati, scrittori generici e de-generi. Al posto di speculare sulla Vagina nella Letteratura Occidentale bisognerebbe domandarsi perché non si scrivano più romanzi come La montagna incantata, La morte di Virgilio, Il castello.

Lo scrittore transgender, a questo punto, direbbe: la letteratura è una figata, smettetela di dire ca**ate.

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