Cultura e Spettacoli

"Duellerò sul palco Esplorare nuovi suoni è la sfida più bella"

Il jazzista comincia da Correggio un tour Poi tornerà a luglio con il collega Stanko

"Duellerò sul palco Esplorare nuovi suoni è la sfida più bella"

Enrico Rava, professione trombettista è una delle figure più importanti del jazz moderno. Basti pensare che perfino Fiorello ne ha fatto la parodia facendolo conoscere al vasto pubblico televisivo. Ma Rava pensa soprattutto alla musica ed è partito per una tournée europea insieme alla pianista d'avanguardia Geri Allen e domani dal festival Crossroads di Correggio partirà per un giro di concerti italiano. Poi tornerà a luglio con un inedito quintetto a fianco del trombettista polacco Tomasz Stanko.

Saranno tournée molto diverse.

«Amo i progetti nuovi e diversi per non annoiarmi. Geri Allen è una pianista estremamente creativa, infatti nasce dal progetto M-Base di Steve Coleman: da tempo progettavamo di fare qualcosa insieme. Io le ho mandato alcune mie partiture e giocheremo molto sull'improvvisazione, punteggiandola con qualche standard. Con Stanko siamo vecchi amici e ci troviamo bene sul palco e anche fuori. È fondamentale avere affinità quando si sta insieme suonando a lungo».

Bella l'idea della doppia tromba.

«Sì, perché c'è sana competitività tra noi. Se più di una tromba si mettono in concorrenza il suono diventa insopportabile. Non parteciperò mai più a un summit di trombettisti. Una volta ne ho ascoltati una quarantina uno dietro l'altro e ci ho messo mesi prima di ricominciare ad ascoltare Miles Davis o Chet Baker».

Chet e Miles sono le sue principali influenze?

«Certo, ma prima ancora ho amato Bix Beiderbecke, che ascolto ancora frequentemente. La sua I'm Coming Virginia è un capolavoro. E poi Louis Armstrong: se dovessi mandare un solo brano nel futuro manderei la sua Potato Head Blues. Poi naturalmente Miles e Chet hanno influenzato il mio modo di suonare, così come ho amato Dizzy Gillespie, Freddie Hubbard e Clifford Brown. Baker, pur essendo lui stesso influenzato da Miles, a 20-21 anni era originale e unico, era miracoloso perché suonava senza imitare nessuno. Tecnicamente era un autodidatta e nel giro di un anno vinse tutti i referendum provocando parecchi malumori nel giro. Miles era un poeta, un drammaturgo e aveva un gran senso del racconto, basta ascoltare le sue rivisitazioni di My Funny Valentine e Stella By Starlight nell'album dal vivo al Lincoln Centre».

E lei come ha cominciato?

«Gato Barbieri mi ha spinto a fare il musicista. Abbiamo fatto alcune jam session poi mi ha detto: studia un po' e sarai un ottimo musicista, poi mi chiamò in tournée con lui e da lì sono partito».

E poi venne Steve Lacy.

«Suonai nel suo quartetto in giro per l'Europa e poi nel '67 andai a New York dove mi si spalancarono le porte dell'avanguardia, da Cecil Taylor a Archie Shepp, ma lavorai anche con Gil Evans».

Impossibile citare tutti i suoi lavori e le sue collaborazioni.

«Vorrei ricordare quella con Roswell Rudd, un genio ingiustamente poco conosciuto. Pilastro dell'avanguardia, lavorava anche per Alan Lomax scoprendo la musica folk più disparata, da quella del Burundi a quella dei pigmei».

Lei ha lanciato Stefano Bollani.

«Era un pianista pop dall'incredibile talento. Un giorno doveva partire in tournée con Jovanotti e io gli dissi: sei sprecato a fare l'impiegato dei cantanti, se hai bisogno di soldi vai, altrimenti vieni con me a suonare jazz. Lui fece la scelta».

Lei ha lavorato anche con parecchi artisti pop.

«Con Fossati, Paoli, De Crescenzo e ancora oggi mi diverto con Massimo Ranieri, ci divertiamo con lui a fare jazz insieme ad artisti come Rita Marcotulli e Stefano Di Battista».

Poi ha fatto un album con la musica di Michael Jackson.

«Considero Jackson uno dei più grandi personaggi musicali e ballerini del '900. L'ho scoperto dopo la sua morte, quando ho guardato il video di un suo show a Budapest. Allora ho voluto ascoltare tutta la sua opera, facevo viaggi di 5-6 ore con la musica di Jackson a manetta. Sapevo che il disco avrebbe avuto vita difficile, perché i talebani del jazz avrebbero storto il naso e i fan di Jackson non avrebbero tradito l'originale, ma non ho voluto jazzificarlo. Come previsto ha venduto meno degli altri miei album».

Com'è il jazz oggi?

«Attraversa un periodo particolare perché i giovani americani fanno musica difficilissima da suonare e da ascoltare.

C'è molta tecnica ma meno emozione, meno poesia».

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