Cultura e Spettacoli

Ecco il libro di Croce che Croce non ha scritto

La storia della letteratura italiana curata da Galasso per Adelphi non è stata concepita o composta dal filosofo. L'antologia è rispettosa e interessante. Ma l'operazione lascia perplessi

Ecco il libro di Croce che Croce non ha scritto

Giancristiano DesiderioL' ultimo libro di Benedetto Croce pubblicato da Adelphi - Poeti e scrittori d'Italia - è un testo che, pur formato da saggi e monografie del filosofo, Croce non compose né concepì. Nel 1927 l'editore Laterza pubblicò, con l'approvazione di Croce, l'antologia Poeti e scrittori d'Italia curata da Floriano Del Secolo e da Giovanni Castellano. Di questa originaria antologia, l'attuale edizione Adelphi mantiene il titolo ma cambia il testo. Come osserva nella corposa, bella e tormentata Introduzione al libro Giuseppe Galasso, che del volume è il curatore, il testo è sì realizzato sulla «falsariga» dell'antologia del 1927 ma è un'altra opera, certamente fatta con l'«assoluto rispetto che si intende portare al punto di vista di Croce» ma pur sempre un'altra opera.

Tanto che Galasso è costretto a riconoscere: «Si vedrà anche come le pagine qui antologizzate su alcuni grandi temi, per così dire, di raccordo tra un periodo e l'altro o tra una serie di scrittori e poeti e un'altra si saldino facilmente in un discorso d'insieme che Croce non avrebbe magari fatto come tale, ma che non disdicono affatto al complesso del suo pensiero, di cui rivelano, anzi, movenze e coerenze che potrebbero sfuggire».La differenza tra i Poeti e scrittori d'Italia e i «nuovi Poeti e scrittori d'Italia», che la Laterza avrebbe già voluto pubblicare dopo la morte di Croce quando si concepì l'antologia curata da Mario Sansone, salta agli occhi quando si confrontano i quattro indici dei quattro tomi (giacché l'opera è composta da due volumi: il primo riguarda il periodo Dallo Stil Novo al Barocco, mentre in origine era Da Dante a Vincenzo Cuoco, e il secondo che non tarderà a uscire è Dall'Arcadia al Novecento, ma in origine era Da Alfieri a Pascoli). La diversità tra i due libri è così determinante che mutano anche la qualità e la finalità: il libro del 1927 è un'antologia, il libro del 2015 è una «storia della letteratura italiana», sia pure sui generis, che Croce non solo non scrisse ma non volle scrivere perché riteneva che non si potesse o, meglio, non si dovesse scrivere.

Ecco perché il curatore si chiede se Croce avrebbe approvato questa nuova operazione e così risponde: «L'antistorica, ma non retorica domanda implica una risposta positiva, che non è, tuttavia, dovuta a mera e facile, presunzione post fata» e «se non può contare sulla specifica approvazione dell'autore, il nostro indice di una storia letteraria italiana secundum Croce rientra dunque fra le eventualità da lui stesso previste e date per certe».Tuttavia, il problema rimane. E non per l'ovvietà che Croce non può rispondere, ma per il motivo più vero che è la sua stessa opera a dire che la «storia della poesia» non può e non deve essere confusa con la «storia della letteratura». Se, infatti, Croce avesse voluto scrivere - come da più parti gli chiedevano - una storia della letteratura italiana lo avrebbe fatto.

Ma non lo fece. Perché? Non perché sia impossibile ma, al contrario, perché è fin troppo possibile, fino al punto da scadere nel generale e nel generico mentre la critica letteraria di Croce, che ebbe come maestro ideale Francesco De Sanctis e spazza via il dogma dei «generi letterari», mira sempre al sangue e al corpo dello spirito poetico perché è individualizzante. Naturalmente, Galasso, che ripercorre e ricostruisce la storia dell'estetica crociana dall'Estetica del 1901 alla Poesia del 1936, ha ben presente la distinzione tra poesia e letteratura - la prima «è la lingua materna del genere umano», la seconda «è la sua istitutrice nella civiltà» - e il suo tentativo di fornire una storia delle letteratura italiana che Croce non scrisse mai è fatto proprio su tale principio ideale sottolineando che anche la letteratura, tolta dall' «angolo oscuro» dove fu confinata dalla grande teoria della poesia espressiva, è storicizzabile e va storicizzata raccontandone vita, morte e miracol

i. Ma, ancora, la questione resta perché tanto la letteratura è vaga quanto la poesia è determinata, tanto la letteratura è generale quanto la poesia è particolare-universale. Il rischio che Croce voleva evitare è la confusione dell'una con l'altra.In uno dei suoi libri di critica più belli, Poesia popolare e poesia d'arte, Croce cita proprio la storia letteraria per negarla da un lato in senso scolastico e affermarla dall'altro in senso monografico: «Con la presente raccolta di saggi sulla poesia italiana dal tre al cinquecento offro un altro pezzo della mia Storia della letteratura italiana. Di un'opera così intitolata mi si suol fare da più parti cortese richiesta; ma io non so piegarmi al lavoro di compilazione in maggiore o minore misura inevitabile quando si vuol mettere insieme un manuale scolastico o altra simile esposizione, che è ciò che comunemente si desidera con quel titolo. La Storia della letteratura italiana, quale per mio conto l'intendo e come solamente posso venire fornendola, è l'indagine, la discussione e lo schiarimento di quei punti, quegli autori e opere, della nostra letteratura, che reputo finora non abbastanza, a mio senso schiariti».

La verità, dunque, è che Croce la storie delle lettere la scrisse ma non in forma di «compilazione» e chi vuole leggerla deve entrare nella sua opera che è così ricca di idee, giudizi, fatti, uomini, donne, notizie, erudizione e varia umanità. La sua preoccupazione, alla quale si rassegnò, era quella della mutilazione del suo lavoro. Quando nel 1951 Raffaele Mattioli e Riccardo Ricciardi gli proposero di antologizzare tutta la sua opera, Croce prima si ritrasse e poi acconsentì dicendo che «appena morto, si sarebbe fatto antologie delle mie cose Dio sa con quale criterio. Perciò mi risolsi ad ubbidire alla necessità e dare al Mattioli un indice compilato da me».

Può darsi che a Croce questa nuova versione dei Poeti e scrittori d'Italia non sarebbe dispiaciuta, tuttavia il merito della nuova opera non sta nel disegnare una storia letteraria che Croce non scrisse - quasi come se si volesse dare al lettore una scorciatoia - bensì in un giusto rilancio della sua estetica e della sua critica che sono per davvero un patrimonio dell'umanità.

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