Cultura e Spettacoli

"Ecco il mio film tv su amore ed etica che dà fastidio alla Rai"

"Il fulgore di Dony" stasera senza annunci o spot: "Il Vangelo crea ancora scandalo"

"Ecco il mio film tv su amore ed etica che dà fastidio alla Rai"

È bello tornare bambini, quando si è vecchi. E proprio oggi che è «prossimo ai titoli di coda» (come dice lui) e che può permettersi l'innocente saggezza degli imminenti 80 (li festeggerà a novembre), Pupi Avati considera con superiore distacco, all'indomani delle vittorie italiane a Cannes e in occasione della quasi clandestina messa in onda del suo Il fulgore di Dony (stasera su Raiuno con Lunetta Savino e Giulio Scarpati), splendori e miserie dell'industria dello spettacolo italiano. Da una parte un cinema intero che sale sul carro di due soli vincitori. Dall'altra l'uscita alla chetichella, con un anno e mezzo di ritardo, senza alcun battage pubblicitario, senza presentazione alla stampa, e nel periodo destinato ai fondi di magazzino, della sua ultima fatica tv.

Partiamo da questa, Avati. Perché Il fulgore di Dony va in onda dopo ben 18 mesi dall'ultimazione, e quasi di nascosto? E non doveva far parte di una serie di tv movie ispirati alle beatitudini evangeliche?

«Non so perché. Posso solo ipotizzarlo. Perché racconta di un amore in controtendenza? Un amore che alla cultura di oggi suona scandaloso e provocatorio? Il film attende da un anno e mezzo. E il progetto non è mai nato».

Cos'ha di così scandaloso, l'amore raccontato da Il fulgore di Dony?

«Dony è il diminutivo di Donata, una ragazzina qualunque, non particolarmente carina, che s'innamora del ragazzo più bello di Bologna. Il quale, naturalmente, nemmeno si accorge di lei. Finché è l'unica a fare per lui ciò che nessuno ha il coraggio di fare. Il suo è l'amore per chi è messo nell'angolo, respinto, dimenticato. È l'amore che considera primo chi invece è ultimo. E questo, in una società che a parole fa tanto per gli ultimi, ma in realtà attua la cultura dello scarto denunciata da Papa Francesco, dà fastidio. Tanto fastidio».

Non sarebbe la prima volta che si hanno dei pregiudizi verso la sua fede religiosa. Come quando l'accusarono di essere troppo anziano e troppo cattolico per far parte del Mibact, la commissione che eroga le contribuzioni ai film d'autore, e lei dovette dimettersi.

«Il Vangelo crea ancora tanto scandalo; specialmente quando è calato e applicato come in Il fulgore di Dony - alla vita di tutti i giorni. Davanti a modelli televisivi moralmente ed eticamente così poco apprezzabili, davanti all'ossessione per i numeri quanti hai biglietti venduto? Quanti voti hai preso? Quanti soldi hai fatto? - io propongo una storia in cui la morale pesa. E in cui quantità non è sinonimo di qualità. Tutto qui».

A proposito di qualità e quantità: i premi di Cannes a Marcello Fonte in Dogman, e ad Alice Rohrwacher per Lazzaro felice hanno fatto gridare come da copione - alla rinascita del cinema italiano. Lei che ne pensa?

«Sono premi meritati. Che però omaggiano due identità fortissime quanto isolate. Garrone e Rohrwacher non sono tutto il cinema italiano. Sono due prototipi, felici ma anomali. Appropriarsi in massa della loro vittoria non è solo scorretto: è inappropriato. Il cinema italiano, in realtà, è gravemente malato. Ha il virus della cattiva scrittura. Buoni attori, registi, operatori non mancano. Ma non abbiamo più i migliori sceneggiatori del mondo. Inoltre una volta facevamo tutti i generi. Oggi è solo commedia. Anzi, commediola. Perfetti sconosciuti ha successo? Non si fa altro che tentare di riprodurlo, ossessivamente».

Il 3 novembre lei festeggerà 80 anni. Bilanci? Progetti?

«Più invecchio e più torno bambino. Felicemente. È come una sensazione di ritorno a casa: recupero tutto quel che avevo perduto, a cominciare da quel considerare tutto come fosse per sempre che i bambini provano naturalmente, prima che l'età adulta li intossichi. E poi attraverso l'aumento della mia fragilità capisco meglio i fragili. E sento la voglia innocente di fare, fare fare: per la tv preparo Bare galleggianti, una serie-thriller durante l'alluvione del Polesine nel 1951. Per il cinema spero di girare un nuovo gotico tratto da un mio libro, Il signor diavolo, la storia di un bambino che negli anni 50 uccide un suo coetaneo, credendolo il demonio. Sono quasi ai titoli di coda.

Che però, in molti film, sono un momento bellissimo».

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