Cultura e Spettacoli

Ecco perché Zalone inviperisce gli "intellò"

Canova spiega il successo «con sudore» di Checco (che ha rifiutato uno spot milionario)

Ecco perché Zalone inviperisce gli "intellò"

È questione di poco e Checco Zalone con Quo vado? di Gennaro Nunziante supererà Avatar di James Cameron, che con 65 milioni e 666mila euro è dal 2009 il film di maggiore incasso in Italia. Uscito il primo dell'anno, Quo vado? ancora oggi viene visto da migliaia di spettatori, nel fine settimana sono stati 50mila, e ha raggiunto l'incredibile cifra totale di 65 milioni e 110mila euro. A dire la verità pochi se lo aspettavano. Uno di questi è sicuramente Gianni Canova, che già qualche anno fa, prima del successo di Che bella giornata, ospitò Checco Zalone a Milano alla Iulm, l'università dove è preside della facoltà di Comunicazione, ricevendo telefonate e mail indignate di amici e colleghi: «È davvero deprimente vedere come tanta parte del nostro establishment culturale - quello stesso che con il suo snobismo elitario ha impedito la nascita di una vera industria culturale nel nostro Paese - non voglia vedere. Non voglia capire». Così scrive l'autorevole critico, autore e conduttore di Il cinemaniaco su Sky Cinema, nel libro, che esce in questi giorni, dal titolo: Quo chi? Di cosa ridiamo quando ridiamo di Checco Zalone (Sagoma Editore, 144 pagine, 15 euro).Con il tono e la grafica scanzonata da instant book, Canova si concentra su alcune semplici ma fondamentali domande: «Com'è che Checco fa ridere (quasi) tutti? Come fa a far ridere? e di cosa ridiamo quando ridiamo di lui?». Ridiamo perché Checco Zalone è un campione del linguaggio «preso alla lettera» (in Quo vado? quando la ragazza alle prese con un orso polare gli dice: «Guardami le spalle!», lui le si mette dietro e la osserva), per il modo in cui dice le parolacce il cui uso, isolato, rispecchia quello teorizzato da Calvino («La locuzione oscena serve come una nota musicale per creare un determinato effetto nella partitura del discorso»), per la precisa costruzione della sua maschera comica attraverso l'uso del labbro superiore tremulo, «tangenzialmente leporino», con cui può imitare indifferentemente Vendola, Saviano, Gramellini o l'idiota del paese, ma anche con l'esposizione della pancetta, che non nasconde perché «figlio dell'abbondanza satura e satolla della Prima repubblica». Perché il cozzalone di Luca Medici è «un possibile prototipo dell'idiot savant: con un quoziente intellettivo probabilmente inferiore alla media, ma niente affatto stupido. Piuttosto, un candido, un ingenuo, un puro di cuore». Non è di destra, non è di sinistra, non è Totò, Sordi, Troisi perché «la sua maschera fa parte di un coro () azzera la presunta superiorità morale del comico nei confronti del mondo () passa da una comicità gerarchica a una egualitaria», così ridiamo di noi e ci vergogniamo allo stesso tempo. Canova sa di cosa scrive ed è l'unico che in un libro su un comico arriva a citare il concetto di «prospettiva rovesciata» di Pavel Florenskij fatto proprio da un cineasta pugliese «sperimentale» come Carlo Michele Schirinzi «che, come Checco, pensa che il mondo vada squarciato».Ma è alla fine del libro, prima di una bella intervista a Luca Medici e a Gennaro Nunziante, che Canova sottolinea una degli aspetti fondamentali della coppia: «Strano che fra i tanti motivi chiamati in causa per spiegare il successo nessuno (o quasi) abbia ricordato questo: il metodo, la dedizione, la fatica, il sudore. La comicità non si improvvisa».

Un dietro le quinte che pochi si immaginano, come quello del rifiuto di uno spot milionario per una compagnia telefonica: «Hai mai visto Alberto Sordi in uno spot?», risponde definitivo Luca Medici alias Checco Zalone, comico laureato in Giurisprudenza con 106/110, raffinato jazzista, pianista, imitatore, cantante.

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