Cultura e Spettacoli

Edward Thomas «La strada presa» per incontrare (tardi) la poesia

Andrea Caterini

Quando scopriamo un vero poeta, ci sia contemporaneo o no, qualcosa, anche di impercettibile, nella nostra esistenza accade. Di Edward Thomas (nato a Londra nel 1878 e morto colpito da una granata tedesca nel campo di battaglia francese di Arras il 9 aprile del 1917) in Italia si sapeva poco o nulla, nonostante poeti come Séamus Heaney ne abbiano dichiarato l'influenza. Eppure, nei suoi trentanove anni di vita pubblicò oltre trenta libri (tra romanzi, biografie, cure, saggi critici) e scrisse quasi duemila recensioni. Per questo siamo grati a Paolo Febbraro di aver selezionato, tradotto e introdotto i suoi versi: La strada presa. Poesie scelte (Elliot, pagg. 190, euro 19,50).

Ci sono scrittori per cui la poesia è qualcosa di innato, e la consumano così come si consuma o si incendia la giovinezza (Rimbaud, Keats, fino al nostro pittore visionario, Scipione). Per altri, che sembrano nutrire per la poesia un rispetto finanche reverenziale, arriva solo più tardi, quando gli strumenti per leggerla e giudicarla sono tanto solidi da fargli credere sia maturo il momento per poterne loro stessi scrivere. Thomas, che sulla poesia aveva un continuo confronto col suo amico Robert Frost, è di questi secondi (il primo componimento lo scrisse a trentacinque anni), e crediamo sia stata una fortuna abbia atteso, non abbia avuto fretta, così come al contrario ne aveva avuta lavorando agli altri suoi libri, con cui sosteneva se stesso e la famiglia. Ma quella scoperta tardiva della poesia la avvertiamo nel ritmo calmo e paziente dei versi. Non si confonda però la calma per apatia, e neppure per una forma di ostentata saggezza. Thomas è un uomo lacerato dentro (si era sposato giovanissimo perché aveva messo incinta la sua futura moglie, ma segretamente nutriva desideri omosessuali; soffre di depressione e ha fasi acute di irritabilità) e mentre osserva il mondo gli dona la sua cerebralità - come se la sua mente offrisse alle cose, e alla loro organizzazione (cioè a un sistema di significati) un ritmo.

Ma in quella sistemazione ritmica pare attendere il momento in cui fra se stesso - o la sua mente - e le cose si apra una faglia, come dire l'attimo in cui sono le stesse cose a rivelare qualcosa del sé: «Tutto mi è stato annunciato; niente/ che potessi prevedere;/ ma ho imparato il suono del vento quando/ queste cose fossero state vere».

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