Cultura e Spettacoli

Emilio Villa, se la Poesia è un mostro rinchiuso negli abissi del labirinto

Emilio Villa, se la Poesia è un mostro rinchiuso negli abissi del labirinto

Nostro inviato a Ivrea

La cosa in natura più vicina al labirinto, a pensarci bene, è la Poesia. In entrambi i casi le origini s'intrecciano con la nascita stessa della civiltà. Le situazioni che generano (fisico-architettoniche nel primo caso, linguistico-concettuali nel secondo) sono complicate e apparentemente senza logica. Uno e l'altra contengono l'intero universo: mito, storia, pensiero scientifico e filosofico, arte, scrittura, vita, morte. E quando sono costruiti con sapienza, sia in un caso che nell'altro (è sempre questione di forma e di interpretazione) risulta difficile, per chi vi entra, trovare l'uscita. Per Jorge Luis Borges, il più grande labirintologo contemporaneo e tra i massimi scrittori del Novecento, le due cose, in fondo, coincidevano. Il grande libro del labirinto è un grande libro di poesia, e viceversa.

Emilio Villa (1914-2003) fu artista, biblista (fu consulente del kolossal di John Huston La Bibbia, del 1966), scrittore plurilingue, studioso di filologia semitica e paleogreca, una passione per le etimologie (nessuno sa da dove deriva il termine labýrinthos...) e poeta. Pubblicò il suo primo testo, Adolescenza, giovanissimo, nel '34. E da lì si perse nei labirinti dell'arte e della scrittura: fonda riviste, viaggia, anticipa la neo-avanguardia, conosce e lavora con tantissimi artisti: Burri, Novelli, Parmiggiani, Schifano, Mimmo Paladino, Gino De Dominicis... Soprattutto scrive, senza sosta, ovunque, regalando e disperdendo testi, percorrendo sentieri clandestini, rifiutando scuole, accademie e l'establishment intellettuale (a proposito, una sua breve, violenta, folle e inedita invettiva contro la cultura italiana fatta di «mercanti premiaioli intrallazzatori di ministeri, di cattedre, di sedie, di editoria...» sta per essere pubblicata dalla De Piante editore). Villa ha lasciato un patrimonio immenso, tutto da studiare, da leggere e - è un poeta visivo - da vedere. Il continente di carta di Emilio Villa.

Oggi una landa di quel continente, la terra dei labirinti, si manifesta per la prima volta al pubblico in una mostra inaugurata due giorni fa a Ivrea, in occasione del festival letterario La grande invasione, all'Archimuseo Adriano Accattino (dedicato alla «Poesia sperimentale visiva» e che nel 2015 acquisì l'archivio dell'artista-poeta). S'intitola Labirinti. Grafie di Emilio Villa, è curata da Lorena Giuranna (con testi di Aldo Tagliaferri, amicissimo e massimo studioso di Villa), ed espone cento carte autografe. Foglietti, cartoncini, cartoline e biglietti tempestati di versi, parole, disegni in tutte le declinazioni possibili della parola labirinto, le labyrinthe liberatoire, le labyrinthe libidinoire, le labyrinthe laboratoire..., per disegnare un mondo che non lascia immutato chi ha l'ardire e l'ardore di avventurarvisi.

Il labirinto non lascia scampo, qualsiasi cosa accada. Entrarci vuol dire uscire dal mondo fisico. Fuggire, significa risorgere. E uccidere il Minotauro non serve.

Rimane comunque la bestialità dell'Uomo.

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