Cultura e Spettacoli

«Era un fascista atipico, lottava per la pacificazione»

Lo storico ci racconta dei molti partigiani salvati dall'eroe di guerra che nessuno volle salvare

Matteo Sacchi

Difficile portare un fiore sulla tomba della medaglia d'oro al valor militare Carlo Borsani, come avete potuto capire dalla lettera scritta da sua nipote. Ma chi era Carlo Borsani? Abbiamo chiesto di raccontarcelo al giornalista e storiografo Luciano Garibaldi (tra i suoi libri La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares e il recentissimo Uccidete lo Zar! Lo sterminio dei Romanov, Gingko) che a Carlo Borsani ha dedicato, assieme a Benedetta Borsani, il volume Un'altra storia (M&B Publishing).

Garibaldi, chi era Borsani?

«L'uomo che quattro partigiani comunisti armati di mitra prelevarono, la sera del 28 aprile 1945, da un letto dell'Istituto oftalmico Sarfatti di Milano, non era soltanto un cieco di guerra. Era anche una medaglia d'oro al valor militare, un poeta e uno scrittore avvincente, un oratore di grande forza emotiva. Ma, soprattutto, un uomo di pace. Borsani, tenente di Fanteria della Riserva, giornalista, presidente dell'Associazione nazionale mutilati di guerra, non aveva esitato un istante a giocarsi la carriera di giornalista pur di insistere nel suo piano: evitare lo spargimento di sangue tra italiani. Così, il suo ultimo articolo di fondo sul quotidiano milanese di cui era direttore, La Repubblica Fascista, aveva come titolo Per incontrarci. Una esortazione fin troppo esplicita alla pacificazione, ma inaccettabile dal nocciolo duro del Partito fascista repubblicano - Pavolini, Farinacci, Preziosi - che ne pretese le dimissioni».

Come aveva fatto Borsani a diventare una personalità in vista dell'Rsi visto che era lontano da un fascismo organico?

«Nato in una famiglia modesta, rimase presto orfano del padre, operaio alla Tosi. Riuscì, nonostante tutto, a studiare e a iscriversi a Lettere. Venne poi chiamato alle armi nel '38 come allievo ufficiale. Terminato il corso e scoppiata la guerra fu poi mandato fronte greco. Il 9 marzo 1941, la tragedia. Durante un assalto alle postazioni nemiche, giunge l'ordine di ritirata. Il plotone esegue, ma non Borsani, perché si è accorto che un fante è rimasto a terra ferito. Torna indietro per soccorrerlo, quando viene colpito ripetutamente. Alla testa e in varie parti del corpo da raffiche di mitra e da schegge di una bomba. Creduto morto, sarà ritrovato la mattina seguente ancora in vita, ma ormai irrimediabilmente cieco. Sottoposto a vari interventi chirurgici, riesce a portare a termine gli studi e consegue la laurea».

Guerra finita quindi...

«Decorato con la medaglia d'oro, Borsani accettò di partire per la campagna di Russia: non combatteva, ovviamente. Però teneva discorsi ai soldati dotati di grandissima forza espressiva. Sono stati a lungo ricordati con commozione dai superstiti della campagna. Rientrato a Milano, il 21 ottobre 1942 sposò Franca Longhitani. Poi arrivò l'8 settembre. Il nuovo Stato repubblicano fondato da Mussolini al Nord vede Borsani in prima linea come oratore, pubblicista, scrittore».

Era una posizione dettata più da amor di patria che da acritica adesione al regime?

«Durante la Rsi, Borsani assieme al giornalista socialista Carlo Silvestri era impegnato nel chiedere, e ottenere, dal Duce, provvedimenti di grazia nei confronti di partigiani arrestati o di renitenti alla leva condannati».

Differentemente da Silvestri non bastò a salvarlo...

«La sera del 28 aprile lo rinchiusero nelle celle del Palazzo di giustizia. Il pomeriggio del 29 fu portato nella ex sede del gruppo fascista Tonoli, in viale Romagna e qui assassinato con un colpo alla nuca.

Il suo cadavere venne gettato su un carretto dell'immondizia e trascinato per le vie della città con al collo il cartello ex medaglia d'oro».

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