Cultura e Spettacoli

Una fanciulla del West troppo hollywoodiana

C'era una volta il west secondo sua maestà John Ford. Henry Fonda bacia la darling Clementine, la maestrina Kathy Downs e poi galoppa verso la sfida infernale dell'OK Corral. Il regista Robert Carsen ha proiettato questo filmato per illustrare la formidabile sintetica apertura della Fanciulla del west (1910), opera con la quale Giacomo Puccini scrisse una delle sue partiture più sontuose, preconizzando l'epopea cinematografica western. Non è una scoperta, ma l'idea cardine di Carsen è pertinente e ben giocata in un'occasione: il formidabile ingresso di Minnie, la fanciulla che doma la rissa di minatori ubriachi ed eccitati sparando in aria, la quale appare sull'immenso fondale del grand canyon. I puccinisti d'altri tempi storcevano il naso sull'insolito happy end della Fanciulla, quando Minnie riscatta la cambiale d'amore da tutti i minatori, evitando l'impiccagione all'uomo che ama, il bandito Ramerrez (alias Dick Johnson). Alcuni particolari registici di questa produzione lasciano perplessi: sulla parete della casuccia (atto secondo) cola plasma a fiotti come nel castello di Barbablù in partitura, invece, poche gocce di sangue sgorgano dall'arpa per cadere sulla giacca dello sceriffo e rivelare il nascondiglio del bandito ferito. Il finale raggela. Dopo una caccia al ladro sadica e impetuosa, Minnie si presenta come una diva hollywoodiana davanti a un cinemateatro scintillante. Alla malora tutta la malinconia di Puccini del commiato poetico nella speranza di una vita migliore. Che fine ha fatto lo sceriffo antagonista? Ma non dovrebbe schiumare violento risentimento davanti alla liberazione del rivale? Questa irruzione temporale forzosa forse è valsa al regista alcuni isolati ma sonori fischi.

Sul versante musicale, avendo dato forfait l'annunciata protagonista Eva Maria Westbrock (la Fanciulla è l'opera più logorante di Puccini) non abbiamo potuto valutare se gli annunciati pezzi «ritrovati» (per ora espunti) fossero autentiche perle perdute o appendici cassate dall'autore e Toscanini a ragion veduta. Ne consegue che la molto annunciata unicità di questa Fanciulla usciva ridimensionata (e forse sarebbe il caso di smetterla con affermazioni preventive sulla ennesima scoperta di un'opera che conta già parecchi illuminanti precedenti interpretativi). È noto che la Girl sia partitura magistrale, tanto da spingere un celeberrimo direttore d'orchestra, Dimitri Mitropoulos, a eseguirla senza cantanti, per mostrarne la maestria strumentale. Ma quando sul palcoscenico i cantanti ci sono, bisogna resistere alle Sirene del turgore sinfonico, e misurare l'apporto fonico sugli strumenti vocali a disposizione e sull'acustica. Altrimenti la concitazione episodica del saloon e gli inebrianti duettoni amorosi rimangono solo parole sul display. A questa seduzione sinfonica non ha resistito il maestro Riccardo Chailly, all'inseguimento di cotés sonori impressionisti e raveliani, perdendo di vista lo specifico pucciniano. Barbara Haveman (Minnie) è stata una sostituta più che dignitosa e di buon temperamento.

La figura migliore l'ha fatta il tenore Roberto Aronica (Jhonson/Ramerrez), solido e sicuro come l'amaro sceriffo di Claudio Sgura.

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