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Come fermare il declino? Con meno indignazione e un po' più di "reazione"

Torna il provocatorio elogio della conservazione di Ploncard d'Assac contro i miti progressisti

Come fermare il declino? Con meno indignazione e un po' più di "reazione"

La reazione, della quale il giornalista e scrittore Jacques Ploncard d'Assac (1910-2005) alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso ritenne di tessere l'«apologia», oggi, più semplicemente, potremmo definirla «indignazione». Un sentimento, più che un atteggiamento intellettuale, manifestatosi in maniera impropria e variopinta come contestazione morale e civile agli effetti perniciosi del globalismo e della governance mondiale delle élites economiche, finanziarie e mediatiche delle quali quelle politiche sono soltanto gli strumenti per attuare i loro disegni.

Tuttavia, per quante affinità si potrebbero riscontrare tra la «reazione» e l'«indignazione», resta il fatto che la prima ha un fondamento radicale nella cultura della restaurazione del diritto naturale; mentre la seconda non è altro che un moto istintivo e primordiale di opporsi senza un progetto al dominio delle oligarchie che si sono impossessate delle anime prima che delle nazioni riducendo le une e le altre in polvere che si consuma nei riti blasfemi dell'economicismo e della spettacolarizzazione del nichilismo.

L'apologia di Ploncard d'Assac apre proprio sull'indignazione una prospettiva nuova (considerando i tempi) che è propria di ogni conservatore, consapevole o inconsapevole, impegnato nel «divenire ciò che è», per dirla con Nietzsche, convinto che le imposture nate nel 1789 si sono radicate ma paradossalmente oggi vengono utilizzate per opprimere, a dimostrazione di una nemesi che ha connotazioni quasi apocalittiche. Non a caso Nicolás Gómez Dávila, il grande filosofo colombiano «scoperto» con colpevole ritardo dall'Occidente distratto dai suoi balocchi intellettuali e grazie a qualche spirito non conformista, sosteneva che «il reazionario è colui che si trova ad essere contro tutto quando non esiste più nulla che meriti di essere conservato». Mentre il conservatore, mi permetto di aggiungere, è teso a preservare ciò che dà un senso all'esistenza. L'uno e l'altro non sono in contrapposizione, ma si completano, con buona pace di chi ha inteso stabilire diversità tali da formare solchi incolmabili.

Oggi «reagire» ha un significato dilatato rispetto a quello che al termine venne dato durante la Rivoluzione francese. È proprio alle sue estreme conseguenze che intende rivolgersi il reazionario contemporaneo: l'Ancien Régime è cambiato nei connotati, non certo nella filosofia che ispira le contemporanee élites. I reazionari, oggi come allora, si oppongono all'individualismo, allo smantellamento delle strutture comunitarie, all'attacco portato al diritto naturale. Autorità e libertà vengono pensate in contrapposizione, mentre dovrebbero essere «vissute» in simbiosi; il merito non contraddice l'eguaglianza delle opportunità, ma l'egualitarismo ideologico è un attentato permanente al riconoscimento delle gerarchie religiose, morali, civili e politiche. Da quando l'egualitarismo, come alibi da parte delle oligarchie al conferimento del potere e della sovranità al popolo, ha soppiantato le naturali differenze, il mondo è divenuto un agone selvaggio nel quale ci si massacra a colpi di egoismi. Scrive Ploncard d'Assac: «La sovranità non è più l'elemento regolatore di una società composta secondo le funzioni reali dei suoi membri nell'economia comune, ma l'espressione di una moltitudine di volontà individuali, inorganiche e anarchiche» (...).

Per la prima edizione di Apologia della reazione (Edizioni del Borghese, 1970), Panfilo Gentile scrisse una prefazione che in realtà era una «meditazione» sulla modernità nella quale, da laico qual era sorprese non poco per le critiche mosse a quella Chiesa che andava conformandosi secondo canoni secolari che l'avrebbero piegata come poi è avvenuto. Scriveva il grande polemista: «La religione fa parte di questo patrimonio primitivo, ineffabile, inalienabile e immodificabile. Bisogna conservarlo gelosamente. Ciò non ha nulla a che vedere ovviamente con la decadenza, nella quale anche la Chiesa è precipitata, mondanizzandosi, politicandosi, mescolandosi alle querelles del secolo. Noi non vogliamo la Chiesa in tuta. Vogliamo che torni a vestire la porpora. Non vogliamo preti segretari della Camera del Lavoro, ma sacerdoti dediti al ministero pastorale e alla salvezza delle anime. La Chiesa ha creduto di acquistare terreno, modernizzandosi e secolarizzandosi, mettendosi in demagogia coi marxisti. Errore funesto. Non ha guadagnato gli empi e ha lasciato senza soccorso le anime che cercavano Dio».

Il declino ela visione del vuoto che consapevolmente si accetta per dare alla vita mortale l'illusione dell'eternità. La grandezza, al contrario, e consapevolezza di essere partecipi di un'altra vita, di una storia che non finisce con un ultimo respiro. Lo sapevano gli antichi dai quali non abbiamo appreso nulla che non fosse lieto per un breve momento. Il declinante Occidente, la decadente Europa, la disarticolata umanitàsono manifestazioni diverse di una profonda malattia della civiltà che per essere vinta necessita del solo farmaco che si conosca: il riconoscimento della sacralità della vita che sola può garantire il risveglio della sapienza quale chiave dell'equilibrio indispensabile per poter vivere conformemente ai bisogni reali dell'uomo. Il resto appartiene alle illusioni della modernità tra le quali affoghiamo le nostre inquietanti pretese di immortalità.

Apologia della reazione, dopo circa mezzo secolo dalla sua pubblicazione, è ancora un libro attualissimo. Non ha perso nulla delle «verità» che riassumeva. Anzi, alla luce di quanto è accaduto dalla fine degli anni Sessanta ad oggi, l'analisi proposta da Ploncard d'Assac ci fornisce motivi nuovi per apprezzare la critica di fondo che muove all'Illuminismo, alla Rivoluzione francese, al giacobinismo ed alle dottrine che hanno immiserito le coscienze. Oggi la reazione è molto più complessa di come potevano concepirla Rivarol, De Maistre, Barruel, de Bonald. Ma i principi ispiratori sono gli stessi. La data di riferimento è il 1789.

Da essa non si può prescindere e nessuna diavoleria tecnologica o economica può ingoiarla.

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