Cultura e Spettacoli

La ferocia del moralista nel thriller di Casa

Pier Francesco Borgia

B isogna essere moralisti per risultare feroci. Non c'è dubbio che il narratore che si nasconde dietro le pagine di Io non sono mai stato qui sia feroce al punto giusto da risultare un perfetto moralista. L'ultimo romanzo di Giuseppe Casa (uscito per i tipi di Clown Bianco) è una sorta di assegno in bianco in mano a un moralista. Un moralista, però, che ha letto Nietzsche e ha metabolizzato la lezione di George Bataille. E soprattutto un moralista che ha toccato con mano tutte le trappole e adulato tutte le chimere della nostra società liquida. Roberto Braino, il protagonista del quarto romanzo di Casa, è un uomo di mezza età che cerca di archiviare un passato inconfessabile costruendosi una nuova identità. Anche il nome (Braino) è una sua invenzione. Nella vita precedente è stato uno smaliziato e immalinconito professore di liceo. Professione che ha dovuto mollare bruscamente. Nella sua seconda vita si adatta a fare il giardiniere e custode per un'azienda agricola. La sventura passata nel suo caso non si replica però come farsa. Bensì come tragica ironia. E finisce per fare dell'ex professore ora giardiniere l'incolpevole perno di uno scabroso dramma familiare.

Dopo la brillante prova di Metamorph, psychothriller ambientato in una Milano slabbrata dalla crisi economica, Giuseppe Casa torna a confrontarsi con lo stesso genere. Qui racconta la discesa agli inferi di un professore fallito che scopre di avere un talento fuori dal comune nel solleticare i desideri e le vanità dei frequentatori del dark web. Dopo aver mollato la cascina ancora sporca del sangue di una tragedia greca vestita di modernità, il protagonista trova il modo di sfondare come star del mercato nero dei sogni proibiti. E i suoi snuff movie diventano materia pregiata e ambita di collezionisti senza scrupoli. Braino, insomma, finisce per sostituirsi a Dio. Proprio come fanno oggi i registi e gli autori dei reality. Dirigendo a proprio vantaggio la folle vanità dei deboli che sperano di crearsi un'identità con il successo televisivo, il protagonista trasforma la sua capacità di videomaker nella regia di un reality di cui è l'unico spettatore e produttore. Un reality che supera anche le inconfessabili prodezze dell'american psycho di Bret Easton Ellis, per dirci che oggi la vanità è diventata una droga così efficace da cancellare non solo ogni inibizione, ma anche ogni scrupolo morale. Dove, quindi, la lucida ferocia del narratore non è che una difesa.

L'ultima possibile.

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