Cultura e Spettacoli

"Il Festival era moribondo: una rivoluzione lo salvò"

Il bacio di Benigni alla Carlisi, la sigla "demenziale", il caso Claudio Villa. L'ex disc jockey svela i segreti delle edizioni anni Ottanta da lui condotte

"Il Festival era moribondo: una rivoluzione lo salvò"

Lui era lì. A soli 28 anni. Nel 1980, l'anno della rinascita del Festival, l'anno dello «scandaloso» bacio tra Benigni e Olimpia Carlisi. Era lì pure nel 1981, l'anno di Maledetta primavera della Goggi, di Per Elisa di Alice, di Gioca jouer nella sigla. E nel 1982, l'anno del caso Claudio Villa, dell'esordio di Vasco Rossi, del collegamento via satellite da New York con i Kiss, di Felicità di Al Bano e Romina. Insomma Claudio Cecchetto, un pezzo di Sanremo, un pezzo della musica italiana, un pezzo della radiofonia italiana.A settembre debutta in Rai con Discoring, a febbraio è lanciato sul palco del Festival come conduttore: nel 1980 la tv di Stato era impazzita?«Il Festival stava morendo, volevano rivoluzionarlo, tolsero l'orchestra, cambiarono le scenografie e cercarono un giovane disc jockey. Ravera (lo storico patron di Sanremo) mi disse: mi serve uno veloce che presenta i cantanti senza tante manfrine, io devo chiudere la trasmissione entro le 23,30 altrimenti da Roma mi tolgono la linea. E così chiamarono me».Chissà che fifa...«Avevo l'incoscienza dei giovani... Poco prima di entrare in scena mi nascosi dietro una tenda, avevo bisogno di cinque minuti per stare con me stesso. Tutti mi cercavano disperatamente...».Si trovò accanto Benigni...«Nelle prime serate era lì in platea che mi osservava con sguardi di simpatia. Mi presentò come il principe dei disc jockey e per me fu come mettere il turbo. Mi trovai immerso nelle polemiche per quel bacio alla Carlisi e mi chiedevo stupefatto, da giovane ingenuo, come mai la gente potesse indignarsi, ma erano altri tempi...».Fu l'ultima edizione in onda in tv una sera soltanto, il sabato...«Sì, le prime due serate, giovedì e venerdì, erano in radio, fino alle 23. Poi si accendevano le telecamere e raccontavo su Raiuno come era andata la gara, mi ero fatto costruire una consolle. Quell'anno fu un tale successo che si decise per il Festival successivo di passare da una a tre serate riprese in tv. Era l'epoca della nascita delle reti private e la Rai doveva svegliarsi».E l'anno dopo il Festival aprì con la celeberrima Gioca jouer, la sigla che ha segnato il suo successo eterno.«La canzone era pronta da mesi, Ravera mi disse aspetta, non pubblicarla, e la usammo come sigla di Sanremo. Figuriamoci, prima c'erano i violini e i fiori, poi sono arrivati i ballerini con musiche demenziali per allora. E la gente credeva che a ballare fossi io».E arriviamo al 1982, quando fu alle prese con la bufera sollevata da Claudio Villa, eliminato la prima sera, il suo ricorso al pretore che insinuava sospetti sulle giurie, tutte le polemiche che ne derivarono.«Alla fine della sua esibizione ci fu un grandissimo applauso, per non interromperlo uscii da dietro il palco al rallentatore. Il giorno dopo mi incontrò e mi disse, durissimo: se sono stato eliminato è anche colpa tua che mi hai tolto l'applauso, ti darei un pugno su quel nasone.... Io non me la presi, anzi fui contento: lui era Claudio Villa, poteva dirmi quel che voleva».Tante volte si è vociferato di situazioni poco chiare nelle classifiche sanremesi...«Il primo anno gli addetti ai lavori mi dissero in anticipo che avrebbe vinto Toto Cutugno e io replicai che non ne avevo nessun sentore: vinse Cutugno. Il secondo anno successe la stessa cosa con Alice. E il terzo pure con Riccardo Fogli. Ma io non sospettai mai niente. Ravera mi spiegò: ci vogliono quelli che vincono, e anche quelli che perdono. Insomma le canzoni venivano scelte sapendo già se avrebbero sfondato o meno. E infatti certi brani sono rimasti nella memoria collettiva».Circolano anche tante leggende su notti di fuoco.«Quando io ero a Sanremo uscivo alle 23,30 dal teatro, andavamo a cena, e poi ancora pieno di adrenalina non riuscivo ad andare a dormire e allora giravo da solo per i bar, quello della stazione, della piazzetta, ma non c'era in giro nessuno, Sanremo era deserta. Tanto che quando tornai poi come produttore di Jovanotti e Max Pezzali, affittai una discoteca per farli un po' divertire e lì arrivavano tutti i cantanti e si faceva baldoria».Perché non rimase in Rai, non fece il quarto Sanremo e andò a Canale 5?«Perché volevo lavorare a Milano, la mia città, e perché l'offerta economica che mi fecero mi permise di realizzare il mio sogno, aprire una radio: Deejay».Cosa pensa dei Festival di oggi?«Purtroppo i dirigenti devono preoccuparsi di mantenere alti gli ascolti, hanno bisogno del successo immediato. Invece ai miei tempi si pensava a trovare il brano giusto che la gente avrebbe cantato per mesi e, per questo, sarebbe tornata a guardare il Festival l'anno successivo».L'anno scorso è tornato in Riviera come presidente di giuria.«Il Festival di Conti mi è piaciuto molto, perché è tornato alla formula di quando presentavo io, dando spazio più alla musica che allo spettacolo. Nei Festival di Fazio passavano anche venti minuti tra una esibizione e l'altra. Conti si mette al servizio degli artisti che presenta, non al servizio di se stesso.

E questo la gente lo percepisce».

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