Cultura e Spettacoli

Il film del weekend: "Assassinio sull'Orient Express"

Un remake visivamente sontuoso, pieno di star, eppure inerte, la cui blanda parte centrale è riscattata da un finale, come da tradizione, piuttosto accattivante

Il film del weekend: "Assassinio sull'Orient Express"

Torna al cinema il romanzo di Agatha Christie "Assassinio sull'Orient Express". Dopo un primo adattamento nel 1974, diretto da Sidney Lumet, quest'ultima versione vede alla regia Kenneth Branagh che è impegnato anche in veste di coproduttore e di interprete.

La trama resta sostanzialmente invariata ma ci sono alcune leggere modifiche pensate per piacere al pubblico odierno.

Il celebre ispettore Hercule Poirot (Kenneth Branagh) si trova a Istanbul quando viene informato che la sua presenza è richiesta a Londra per sbrogliare un complicato intrigo. Fortuna vuole che abbia appena incontrato un caro amico che lavora sull'Orient Express e che può procurargli un posto a bordo. Lungo il viaggio, uno dei passeggeri viene ucciso, trafitto da dodici pugnalate e, per motivi diversi, i sospetti ricadono su ognuno degli occupanti del vagone principale (Penélope Cruz, Willem Dafoe, Judi Dench, Johnny Depp, Josh Gad, Derek Jacobi, Leslie Odom Jr., Michelle Pfeiffer e Daisy Ridley). Poiché il treno è rimasto bloccato da una slavina, c'è tempo di risolvere il caso prima che arrivi la polizia jugoslava.

La messa in scena è classica, visivamente sontuosa e d'impostazione teatrale. Per conquistare le nuove generazioni, sono stati aggiunti momenti concitati, inseguimenti e spettacolari panoramiche, guadagnando spazio all'ambientazione ma perdendo, in questo modo, il fascino legato al senso di claustrofobia dato dal muoversi unicamente all'interno dei vagoni del treno.

Difficile dire se il Poirot di Branagh esca vincente dal confronto con le precedenti interpretazioni del personaggio. Albert Finney nel primo film tratto dal libro, David Suchet nei ventiquattro anni della serie televisiva "Poirot", ma soprattutto l'indimenticato Peter Ustinov di "Assassinio sul Nilo" hanno di sicuro scolpito nell'immaginario collettivo un ispettore ben diverso dall'attuale, se non altro per una mera questione estetica: due minuti baffi a ricciolo che nella nuova versione sono invece soppiantati da enormi mustacchi, quelli in realtà descritti nel 1934 dalla Christie.

Il Poirot di Branagh corre, fa a pugni, è ossessionato da equilibrio, perfezione e giustizia e, soprattutto, è sempre al centro della scena. I riflettori sono più su di lui che sul mistero da risolvere. Dalla moltitudine di attori celebri emergono soltanto la Pfeiffer e Deep, mentre le performance degli altri sono in sostanza dei camei. Convincono, ad ogni modo, Daisy Ridley e la regale Judy Dench, mentre a restare più in ombra di tutti è Penolope Cruz.

Nella lunga parte centrale il calo del ritmo è drastico, il rischio di annoiarsi è palpabile. Per fortuna l'opera si riscatta con un finale, come da tradizione, davvero godibile. La parte conclusiva non è solo la risoluzione del puzzle e lo svelamento dell'identità dell'assassino, ma una carrellata di tormenti morali e una riflessione sull'ambiguità di Bene e Male. L'accento, nel bellissimo momento chiave in cui tutti i sospettati sono disposti come fosse l'ultima cena, in una galleria appena fuori dal treno, è più sulle motivazioni del delitto che non sulla dinamica d'esecuzione.

Nel complesso, il film non conosce pathos o suspense, ha una confezione elegante ma intrattiene come un blockbuster di media fattura, essendo poco più che la sfilata di volti di una Hollywood che, fatta eccezione per la presenza della Dench, non regge il confronto con quella della pellicola del 1974 (in cui comparivano, tra gli altri, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Sean Connery, Anthony Perkins e Vanessa Redgrave).

Il prossimo appuntamento, annunciato durante la scena finale, sarà "Assassinio sul Nilo".

Branagh, all'idea, sembra già divertirsi un mondo, il pubblico un po' meno.

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