Cultura e Spettacoli

Il film del weekend: "Still Alice"

Julianne Moore da Oscar nella commovente storia di una professoressa cinquantenne che si scopre malata di Alzheimer precoce

Il film del weekend: "Still Alice"

Candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista, Julianne Moore ha serie probabilità di portarsi a casa il premio: la sua interpretazione in "Still Alice" è allo stesso tempo misurata e totalizzante. Il film, pur raccontando di una malattia devastante e crudele, non lascia mai spazio alcuno né alla retorica, né al pietismo, né al sensazionalismo prediligendo invece un approccio sobrio e delicato alla storia.

Alice Howland (Julianne Moore) ha compiuto cinquant'anni e il bilancio della sua vita non potrebbe essere più positivo: è realizzata professionalmente grazie ad un lavoro che è la sua passione, una cattedra di linguistica presso la Columbia University, e ha una famiglia bellissima, composta da un marito amorevole e tre figli stupendi.

D'improvviso però, le capita di iniziare a dimenticare alcuni termini e di trovarsi disorientata in luoghi familiari, decide quindi di farsi visitare da un neurologo. La diagnosi è straziante: una rara forma di Alzheimer precoce. Come se non bastasse, la malattia è genetica perciò potrebbe essere stata trasmessa a qualcuno dei suoi figli. E' una dura prova per l'intero nucleo familiare e la lotta di Alice per conservare quanto più a lungo possibile se stessa è appena iniziata.

Tratto dal romanzo di Lisa Genova "Still Alice - Perdersi" (Piemme Edizioni), il film descrive dal punto di vista della malata la sensazione di panico e di smarrimento che si prova nel perdere progressivamente ricordi e identità. Nella fattispecie, il paradosso è che un tale destino si accanisca proprio su una donna che è stata un genio della linguistica e che ha sempre valutato se stessa in base alle proprie capacità intellettive e alla straordinaria articolazione di parole e ragionamenti. La protagonista è caparbia e tenace nel monitorare la propria condizione di deterioramento; in lei fragilità e combattività convivono costantemente e la Moore, vale la pena ribadirlo, nell'interpretarla è splendida: la sua performance è essenziale, monda da facili manierismi e intensamente credibile. Il film si gioca tutto sul suo volto che è lo schermo su cui vediamo questo dramma silenzioso farsi sempre più penetrante. Tra i comprimari spiccano per bravura e intensità Alec Baldwin nei panni del marito che ha difficoltà a ricalibrare la propria vita attorno alle nuove esigenze di Alice e Kristen Stewart in quelli della figlia solo apparentemente ribelle. Non stupisce che la pellicola abbia sempre molto equilibrio e tatto nel raffigurare il senso di impotenza provato dalla malata e dai suoi familiari, perché i due coniugi alla regia, Wash Westmoreland e Richard Glatzer, vivono una storia personale simile avendo l'uomo scoperto, pochi mesi prima dell'inizio delle riprese, di soffrire di Sla.

Il film descrive dall'interno la lenta discesa verso il buio della mente, ma non manca di indicare che esistano squarci di luce momentanea in cui è possibile ancora una comunicazione tra il paziente e la realtà circostante; questi varchi sensoriali si aprono di fronte a bellezza e amore, ricordi evidentemente indelebili che hanno sede in quello scrigno inviolabile alla malattia che è l'anima.

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