Cultura e Spettacoli

Finardi, la sua musica non perde l'anima ribelle

L'artista 62enne passa l'estate in tournée con i suoi successi e i brani del nuovo cd "Fibrillante". In settembre a Milano

Finardi, la sua musica non perde l'anima ribelle

A 62 anni appena compiuti Eugenio Finardi non ha perso lo spirito «ribelle»... A differenza di molti colleghi che rallentano o appendono addirittura la chitarra al chiodo, lui in tournée ci sguazza, come dimostra il giro di concerti di quest'estate che lo porterà il 16 e 17 settembre al Blue Note di Milano e il 27 settembre a Faenza al Meeting delle Etichette Indipendenti con i suoi successi e i brani del nuovo album Fibrillante. «Il concerto - spiega - è il vero luogo della mia anima, sul palco mi sento a casa e ho un rapporto pro fondo con il mio pubblico. Negli anni '70 il concerto spesso era un momento di alta tensione, ora è un momento di scambio di emozioni. Sarà che le cose sono cambiate... Da giovane pensi di fare un piacere alla gente suonando dal vivo, poi invece scopri che è un immenso privilegio esibirsi davanti a tutta quella gente che si disturba per venire ad ascoltare la tua musica e le tue parole. Mi piace essere lì e ne sento la responsabilità. So che c'è qualcuno tra il pubblico che si chiama Eugenio perché è stato concepito con una mia canzone sul giradischi».

Il suo pubblico è molto trasversale ma lui, sperimentando e al tempo stesso rimanendo fedele alle radici, cattura anche i più giovani. «Non sono un cantautore adolescenziale, sono uno che viene scoperto lentamente, che arriva piano piano». A fare la differenza sono le sue radici italoamericane, quella mamma statunitense e insegnante di lirica che lo ha cresciuto e il tarlo del blues che gli ha preso l'anima. «Non sono nato da un urlo ma da un acuto. Durante il parto, quando dissero a mia madre di “spingere”, lei lanciò una nota alta tratta dall'aria Regina della notte del Flauto magico di Mozart. A parte ciò in casa ho ascoltato tanta musica classica; mia madre era una grande insegnante, dava dei sonori pugni sul diaframma agli allievi per insegnare loro che la voce nasce da lì. Poi però ero attratto dai dischi di Gershwin, Harry Belafonte, dal gospel di Mahalia Jackson. Incontrai il blues nel '65, a casa di mia nonna nel New Jersey, una di quelle casette con un fazzoletto di giardino... Lì mio cugino, per farmi un dispetto, pensando che amassi i Beatles, mi regalò gli album dei Rolling Stones. Fu una rivelazione. Da lì passai a Muddy Waters e tornato in Italia cominciai a suonare blues con Fabio Treves e Roberto Camerini». Quel blues che non ha mai dimenticato e che ha celebrato con il disco (e annessa tournée) A nima Blues. «L'anno prossimo sarà il decennale di A nima Blues e sto preparando una grossa sorpresa, così come sto lavorando al quarantennale di Musica ribelle. Un po' di blues lo suono ad ogni concerto e soprattutto nelle prove. Un giorno, dopo un sound check, un signore mi ha avvicinato e mi ha detto: “ma stasera qualche canzone in italiano la canta?”».

Se si domanda oggi a Eugenio Finardi dov'è, o se esiste ancora la musica ribelle, lui risponde deciso: «C'è ancora ma non la fanno più i cantautori, la fanno i rapper che non le mandano certo a dire a nessuno. Per questo piacciono tanto ai giovani. A piccole dosi artisti come Fedez, Emis Killa, Marracash, Salmo mi piacciono parecchio. Nel mio nuovo disco, Cadere sognare che dal vivo ha molta presa sul pubblico, è costruita un po' sul canovaccio del free style, con rime baciate molto strette. Se togli la melodia potrebbe essere un rap. Tra i cantautori mi piacciono quelli della generazione di mezzo come Bersani o Carmen Consoli.

Tra i nuovi Dente e Brunori Sas, ma gli altri non mordono, mi sembra che non osino graffiare il cielo».

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