Cultura e Spettacoli

Da "Fitzcarraldo" a "Mephisto" di Szabò, ecco i film che mossero il (nostro) mondo

Un saggio sulle pellicole che, dai '70 ai '90, hanno colto i mutamenti della società

Da "Fitzcarraldo" a "Mephisto" di Szabò, ecco i film che mossero il (nostro) mondo

Terzo atto di un ciclo cominciato quasi quarant'anni fa (Ecce Alien è del 1982) e di cui un primo bilancio è stato fatto all'inizio del nuovo millennio (A schermo spento, 2006), Piombo, sogni e celluloide di Giuseppe Del Ninno (Oaks editrice, pagg. 178, euro 16) è anche la conferma di come il cinema possa essere specchio e sfera di cristallo, riflesso più o meno fedele della società e insieme sua interpretazione, in avanti e all'indietro, proiettata verso un ipotetico futuro, ancorata a un realistico passato, o, più semplicemente, fermo-immagine di un eterno presente, senza tempo e quindi senza storia.

Il sottotitolo del libro, «Gli anni Settanta, Ottanta e Novanta al cinema», non deve trarre in inganno. Non siamo di fronte alla classica e più o meno riuscita antologia critica con cui periodicamente si archiviano cinematograficamente i decenni. Il progetto è più ambizioso: «Fornire al Lettore, a partire da un certo numero di film, alcuni spunti idonei a cogliere i mutamenti nelle mentalità, nel costume, nelle sensibilità correnti, in una parola nella cultura della nostra aerea geo-culturale, nell'arco di un ventennio significativo del secolo passato».

Se vogliamo, Piombo, sogni e celluloide è una piccola silloge di «film che mossero il mondo» e la cosa ha in sé un elemento paradossale, perché implica una creatività che sta ormai alle nostre spalle e una sterilità che invece ci fa da compagna. Detto in altri termini, eravamo più vivi e più reattivi in un mondo che sembrava impermeabile al cambiamento (due ideologie contrapposte, un sistema politico bloccato in Italia) di quanto non lo siamo una volta che l'impermeabilità è andata a farsi benedire...

Per certi versi, è un qualcosa che ha a che fare con la scomparsa dell'utopia, le cui sole tracce visibili, scrive Del Ninno, «sembrano essere quelle cruente lasciate da esigue minoranze ideologiche residuali, o quelle, di intonazione religioso-integralista, che agitano consistenti gruppi, soprattutto nella galassia islamica». Sono considerazioni che fanno da cornice a un film come Fitzcarraldo di Werner Herzog, uscito nel 1981, ovvero a Blade Runner di Ridley Scott, che è dell'anno dopo e che ne rappresenta quasi il rovesciamento, una sorta di utopia al nero, il «niente è peggiore che avere una vita che non è una vita» con cui l'ultimo replicante ribelle immola se stesso per salvare l'uomo che gli dà la caccia...

Sempre in quegli anni Ottanta che a chi li visse in Italia sembravano di latta e di fango rispetto a quelli terribili di piombo e di sangue che li avevano preceduti, è del resto un film come Kagemusha di Akira Kurosawa, e le parole scelte allora dal regista giapponese per raccontarlo, suonano oggi straordinariamente profetiche: «I politici non fanno nulla per l'umanità, pensano solo in termini di economia, di rentabilità immediata. Gli intellettuali sono diventati funzionari televisivi. Anche i registi».

Oggi che siamo abituati alla «vita in diretta» delle tv pubbliche e private, il piccolo schermo che trasforma la politica in docu-film, nel migliore dei casi, in soap-opera nel peggiore, con il mini schermo del cellulare e/o del computer come corollario (Twitter, facebook, blog...) fatichiamo a liberarci dell'idea di finzione che è insista nell'idea stessa di reality, eppure basta andare indietro nel tempo, al 1976 di Quinto potere, per vedere come già allora il futuro fosse visibile in anteprima: l'orrore in diretta, nevrosi e carriere, audience e telepredicatori, la piazza e la «gggente», l'infotainment, l'indifferenza catodica che omologa e neutralizza qualunque messaggio rivoluzionario... E come non restare tramortiti dall'urlo sofferto con cui il protagonista di Mephisto di Istvàn Szabò cerca di allontanare da sé le luci della storia: «Cosa vogliono da me? Io sono solo un attore...».

Tramortiti perché, quasi mezzo secolo dopo, quella sofferenza si è tramutata in esaltazione e le prerogative dell'uomo di potere e dell'uomo di spettacolo sono diventate interscambiabili e hanno dato vita alla nuova forme della politica che abbiamo sotto gli occhi.

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