Cultura e Spettacoli

La fondazione di Roma secondo Matteo Rovere

Pedro Armocida

Ab Urbe Condita. Come non era mai stata raccontata al cinema. È questa la sfida, ambiziosa e riuscita, del nuovo film di Matteo Rovere che, dopo i motori roboanti del precedente Veloce come il vento si cimenta ora, con Il primo Re in uscita il 31 gennaio in più di 300 schermi, in un altro film di genere dove lo sferragliare di spade, coltelli, lance si confonde con il rompersi di crani e ossa. Ma più che al filone del cinema di «cappa e spada», il film, prodotto dal regista con Andrea Paris e Rai Cinema e che racconta la selvaggia storia di Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) che finisce con la fondazione di Roma tra Dio, Patria e Famiglia, guarda all'immaginario di titoli come Apocalypto di Mel Gibson, Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn o Revenant di Alejandro González Iñárritu. Mentre, nel complesso rapporto tra i due fratelli, si possono leggere dinamiche che arrivano fino a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.

Immersiva e impressionante la messa in scena (il film è costato più di 8 milioni), sia per la scelta, che va oltre la filologia, di far recitare gli attori in latino arcaico misto all'indoeuropeo (anche chi ha fatto gli studi classici si deve arrendere ai sottotitoli), sia per le scene di combattimento e, soprattutto, per la sequenza iniziale con un'esondazione del Tevere frutto di tecniche artigianali.

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