Cultura e Spettacoli

Gazzè, il trovatore "prog" che racconta la musica come se fosse leggenda

Inaugurato il tour a Vieste con un concerto in due atti: "Da ragazzo divoravo poesie"

Gazzè, il trovatore "prog" che racconta la musica come se fosse leggenda

In fondo non c'era bisogno di una standing ovation (durante La leggenda di Cristalda e Pizzomunno) per capire che con questo concerto Max Gazzè spariglia le carte. Spiaggia di Vieste. Due atti. C'erano tremila persone l'altra sera davanti ai sessanta elementi della Alchemaya Symphony Orchestra e a questo cantautore capace di conservare la voglia di rinnovarsi, stupire, crescere. D'altronde, alle spalle del palco era illuminato il Pizzomunno, il celebre faraglione di Vieste che, secondo un mito popolare, sarebbe un antico pescatore pietrificato dopo che il suo amore Cristalda fu rapita dalle sirene.

«Una storia che mi ha raccontato mio fratello Francesco e che abbiamo trasformato in canzone», spiega Gazzè, che ha avuto il coraggio bello e sfrontato di portare questo brano al Festival di Sanremo presentando per di più un disco che è, parole sue, «un'opera progressive sull'architettura di un'orchestra sinfonica».

Alchemaya, che si divide in due atti proprio come il concerto, è un disco impegnativo ma nutriente, un autentico salto fuori dal tempo nell'epoca dei progetti musicali mordi e fuggi. E anche nel concerto la prima parte è dedicata agli inediti con testi ispirati alla Bibbia o ai Manoscritti di Qumran. «E tutto - ricorda lui - è inframezzato da cinque letture che, nei miei concerti alle Terme di Caracalla a Roma e all'Arena di Verona, saranno affidate a Ricky Tognazzi». Mentre nella seconda ci sono i suoi brani più famosi come Il solito sesso o Sotto casa (oltre ai nuovi Se soltanto e Brivido a notte) che rivivono con l'orchestra.

«È probabilmente la cosa più difficile che abbia fatto in vita mia. Chi conosce già i brani, può ritrovarsi nelle storie. Ma chi non li conosce potrebbe pensare di essere di fronte a un racconto di Verne o di Salgari» spiega lui, che sembra sempre di passaggio nella realtà, perso com'è nei suoi pensieri e nella ricerca curiosa, magari anche estenuante, di imparare sempre qualcosa in più. Dopotutto resta uno dei pochi cantautori che abbia inanellato una (ormai) lunga serie di successi pur rimanendo sempre «indie» nello spirito, rigorosamente sganciato dai più consumati stratagemmi commerciali. «Mi piace cambiare, anche il prossimo album probabilmente sarà diverso, non solo nei suoni ma anche nella musicalità delle parole».

Già, le parole. Con il fratello Francesco (autore di testi spesso metricamente perfetti) è riuscito a creare un linguaggio del tutto personale che spesso sconfina nella filastrocca pop, immediatamente riconoscibile ma praticamente inimitabile. «Sono un musicista cantastorie che tiene tantissimo al suono e alla scelta delle parole», dice mentre ricorda di aver iniziato musicando le poesie del fratello: «Da ragazzo leggevo tantissime poesie, da quelle di Montale a quelle di Mallarmé a Verlaine a Montale. Avrò consumato Les Fleurs du mal di Baudelaire e Il galateo in bosco di Zanzotto me lo sono quasi mangiato...».

Sarà per questo che riesce a presentare oggi a un pubblico popolare canzoni sugli incontri di Ezechiele (Visioni a Harran) o sul diluvio universale (Il diluvio di tutti) che è una storia «raccontata in tutte le culture del mondo e quindi si ricollega a un fatto realmente accaduto». Insomma, il tour di Gazzé va oltre il pop, si ricollega alla mentalità progressive degli anni Settanta (lui cita Atom heart mother dei Pink Floyd e The lamb lies down on Broadway dei Genesis) ma va più in là, mescolando la melodia con la musica contemporanea.

E il bello è che al pubblico piace molto: «Ho visto gente addirittura più entusiasta per la prima parte del concerto, che è quella più ardita» racconta con un accento inconfondibile e una parlata rotonda da trovatore della Langue D'Oc.

Però per fortuna, lui che è nato a Roma ma ha vissuto per anni in Belgio e poi in giro per l'Europa, non si è chiuso nel solito fortino conservatore di chi disprezza la nuova musica: «Con mia figlia ho ascoltato il disco di Sfera Ebbasta che è un mondo nuovo, probabilmente dirompente come decenni fa lo fu quello dei cantautori seduti sullo sgabello con la chitarra» e mentre lo dice chiude idealmente il lungo viaggio della sua musica, che parte dalle leggende dell'antichità e arriva all'autotune della trap.

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