Cultura e Spettacoli

«Il giorno in cui scoprii la brutalità della mafia»

Barbara Silbe

Giuseppe Di Piazza ci racconta le sue molte vite partendo da quando aveva 12 anni e già usava le istantanee. Inizia nel 1979 come giornalista a L'Ora di Palermo, sua città natale. La sua fotografia ha sempre camminato a lato della scrittura, in un percorso che lo ha condotto a dirigere il settimanale Sette, i mensili Sette Green e Max, l'agenzia Agr. Nel 2011 la prima mostra «Io non sono padano», il Nord raccontato da un siciliano milanese d'adozione. «Oggi continuo ad avere un ruolo nel Corriere Innovazione racconta - ho scritto libri, ma la mia passione per lo scatto si è consolidato già negli anni '80 quando lavoravo per l'agenzia americana Global Photo. Era guidata da un premio Pulitzer che era stato in Vietnam.

Città, passanti, ritratti: cosa cerca quando inquadra?

«Uso due linguaggi. Uno è il racconto del paesaggio, mio primo amore. Sono un devoto di Ghirri, di Fontana, ho sofferto per la bellezza dei loro scatti. Cerco l'emozione dell'immagine entrandoci e cercando di farla ritornare così come è depositata in noi, ne faccio una trasfigurazione. L'altro è il ritratto, che realizzo quasi esclusivamente in bianco e nero, concentrandomi sui chiaroscuri, sui contrasti, sulle espressioni. Mi interessa l'identità delle persone, mi vincolo a un realismo ossessivo e poi domando loro se si riconoscono nello scatto.

Sul Duomo di Milano, soggetto di una sua recente mostra, è intervenuto con l'uso della luce.

«È il concettuale che viola i codici del paesaggio. Del Duomo o del Battistero a Venezia si sono già viste molte immagini, io faccio scomparire un monumento iconico nella luce, ne faccio una sublimazione.

Ci racconti un momento OFF della sua vita.

«Mi viene in mente Letizia Battaglia. È una storia cruda, di quando ero giovane cronista di nera e lei la principessa fotografa. C'era stato un omicidio a Bagheria, ci andammo insieme sulla mia Fiat 500 rossa. Trovammo un 60enne, in mezzo ai campi supino, calzoni aperti e nudità esposte. Pensai a un delitto sessuale, lei mi disse che era frequente e mi educò alla vista dei cadaveri e alla mafia».

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