Cultura e Spettacoli

Giovani ma non giovanilisti I «Novantiani» dettano arte

I nuovi nomi della pittura nati negli anni '90: sono maschi e un po' reazionari. Una mostra li racconta

Giovani ma non giovanilisti I «Novantiani» dettano arte

Come passa il tempo. Quando ho cominciato a pubblicare, su Eccellenti Pittori ossia su internet, un quadro nuovo ogni santo giorno feriale, i giovani pittori erano i pittori nati negli anni Ottanta. Correva l'anno 2012 ed era l'estate del governo Monti, ahinoi. Monti grazie a Dio è passato, e con lui la sua pauperistica, antiartistica sobrietà, ma non è passata una vita, eppure credo che oggi un pittore nato nel 1980 giovane non lo sia affatto: ha trentasette anni, la fatidica età che uccise Raffaello, Parmigianino e Domenico Gnoli, giusto per limitarsi a tre nomi. E sappiamo che Masaccio, Modigliani e Boccioni, sempre per limitarsi a tre nomi, sono stati falciati da morte ancor più prematura, e che ciò nonostante erano già Masaccio, Modigliani e Boccioni. Insomma, adesso la generazione davvero giovane è quella nata negli anni Novanta e la mostra di Castellabate (Salerno) - dal titolo, appunto I Novantiani - è la prima fotografia di tale giovinezza. Ho scritto nel sottotitolo «Censimento primo» per dire che più avanti se ne dovranno organizzare degli altri: è vero che Michelangelo a 12 anni aveva già dipinto il Tormento di Sant'Antonio, ma non è realistico pensare che i nati nella seconda metà del decennio abbiano già trovato il modo di esprimersi. Abbiamo in mostra una pittrice nata nel 1998 ma è anagraficamente isolata, la considero una mascotte, un'eccezione, un caso, non ancora l'avanguardia di ciò che verrà.

Tutti gli altri artisti sono nati invece nella prima metà del decennio e specialmente nei primi tre anni: 1990, 1991, 1992. È grazie a loro, e ai loro coetanei non presenti (i Novantiani sono l'esito di una selezione oltre che di un censimento), che posso tentare analisi e dichiarare esultanze. Io sono un maschio e dunque un maschilista per cui non posso non compiacermi di fronte al mancato sorpasso delle donne sugli uomini. Fra gli artisti nati negli anni Ottanta il numero delle pittrici aveva quasi raggiunto quello dei pittori e temevo (per la vecchia solfa dell'arte come specchio della società) che occupandomi del decennio successivo avrei dovuto registrare la prima prevalenza femminile nella storia dell'arte. Pericolo scampato, almeno stavolta il mio sesso è ancora forte: le donne in mostra sono soltanto tre, dunque anziché un sorpasso siamo davanti a una frenata. Non azzardo motivazioni, mi sono già sbilanciato troppo, ognuno avanzi le sue ipotesi e a Dio piacendo ci rivedremo al «Censimento secondo» per avere, di questo dato inaspettato, conferma oppure smentita. Un altro fatto che devo rimarcare è la risacca della grande ondata muralista. Pensavo (anche in questo caso: temevo) di dover riempire le pareti di street artist ma non è andata così, durante il censimento ho verificato che il molto mediatico fenomeno è più giovanile che giovane, essendo i suoi protagonisti ultratrentenni se non ultraquarantenni (del resto il campione mondiale della specialità, Banksy, pare sia un ultracinquantenne). Mai avrei immaginato un simile ritorno alla pittura da cavalletto: in mostra c'è un solo muralista, Alberonero, che per giunta si dedica all'astrazione e dunque è lontano dal muralismo moralista che ingombra cronache e città. Ecco una riprova del clima francamente reazionario che ho respirato in certe fasi della ricerca: domandando ai Novantiani quale fosse la colonna sonora dei loro lavori mi aspettavo in risposta i nomi di terribili rapper e invece parecchi hanno citato Satie. Non credevo alle mie orecchie, mi sono perfino immaginato che si fossero messi d'accordo per prendermi in giro. Satie, Erik Satie, l'ottocentesco compositore di rarefatti balletti? Proprio lui. Ma del resto se i censimenti dessero sempre i risultati attesi non ci sarebbe motivo di farli.

Non voglio sbilanciarmi sui singoli artisti, non è questa la sede né il momento. Ora godiamoci la fioritura: per la potatura, operata dai taglienti, gerarchizzanti giudizi di valore, ci sarà tutto il tempo. Preferisco attirare l'attenzione sull'ultimo risultato fornito dalla presente rilevazione: l'inesausta vitalità della pittura. I non addetti ai lavori, beati loro, non sanno che l'ostilità verso il linguaggio artistico più universale è, fra gli addetti ai lavori, quasi altrettanto universale. Le biennali, le gallerie, le accademie, le facoltà, le fondazioni, le installazioni: in Italia sono innumerevoli le realtà che complottano per uccidere i pittori neonati nella culla. E poi bisogna aggiungere la cosiddetta crisi, spesso una scusa per spendere in mali effimeri anziché in beni durevoli come le tavole e le tele, e inoltre le tasse, il disinteresse dello Stato e dei privati... Eppure ogni anno spuntano nella nostra per altri versi infeconda nazione dieci o dodici pittori interessanti, e fra questi, spesso, si staglia un eccellente. I «Novantiani» sono giovani ma non sono incoscienti, sanno come va il mondo (quantomeno il nostro piccolo mondo) e non dipingono per diventare ricchi e famosi, anche se io ovviamente glielo auguro. «Il disegno e la pittura continueranno a esistere, come il canto e la danza, perché la gente ne ha bisogno» ha detto uno dei massimi pittori del nostro tempo, David Hockney. Dipingere è, per il pittore, innanzitutto un'esigenza intima. Che ritorna di generazione in generazione, a dispetto di tutto.

I «Novantiani» sono la prova che la pittura, quindicimila anni dopo i bisonti delle grotte di Altamira, è ancora giovane.

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