Cronache

Guido Cristini, il gerarca cacciato dal Duce e salvato dall'amnistia voluta da Togliatti

La storia del presidente del Tribunale speciale che non pagò mai per le sue colpe

Guido Cristini, il gerarca cacciato dal Duce e salvato dall'amnistia voluta da Togliatti

La storia a volte è bizzarra. Non sempre sono i più crudeli sostenitori di un regime, quelli che si sono sporcati le mani di sangue, a essere perseguiti quando il regime cade. È sicuramente questa la prima considerazione che viene alla mente dopo aver letto il volume di Pablo Dell'Osa Il tribunale speciale e la presidenza di Guido Cristini, 1928-1932 (Mursia, pagg. 348, euro 19).

Il nome di Guido Cristini, a chi non sia uno specialista del Ventennio, oggi dice poco. Eppure, tra il 1928 al 1932 fu uno degli uomini più temuti del Paese. Cristini infatti arrivò con gran velocità al vertice del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, organo voluto da Mussolini per reprimere il dissenso verso il Regime. Il tribunale era stato istituito con la legge del 25 novembre 1926, n. 2008, una delle cosiddette leggi fascistissime. Che si trattasse di un organo atto a schiacciare la libertà risultò chiaro da subito. Ma il primo presidente, il generale Carlo Sanna, non ebbe la mano così pesante, e si tenne lontano dalla pena capitale. Con l'arrivo di Cristini cambiò tutto. Abruzzese, combattente, avvocato, deputato, faccendiere, Mussolini vide in lui l'uomo dal pugno di ferro. E non si sbagliava: emise in brevissimo tempo 1725 condanne, comminando 8806 anni di prigione, mandando al patibolo ben 9 persone. Un macabro record. Un esempio. Nel 1928 dovette giudicare l'operaio comunista Michele Della Maggiora che aveva ucciso due fascisti. Cristini voleva la fucilazione e l'accusa di strage. Il pubblico ministero, ufficiale di indubbia fede fascista, Carlo Baratelli, si oppose: da giurista gli sembrava insostenibile. Trent'anni, massimo l'ergastolo, era la sua opinione. Cristini destituì Baratelli (carriera finita) nel mezzo delle udienze e tirò dritto.

Alla fine, all'interno dello stesso fascismo, i nemici di Cristini misero in dubbio (non era difficile) la sua dirittura morale e la sua competenza. Tanto che Mussolini finì per rimuoverlo. Ma qui inizia la parte forse più interessante della vicenda narrata da Dell'Osa. Moltissimi sono i fascisti che durante la Resistenza o dopo l'aprile del 1945 hanno pagato a carissimo prezzo la militanza nel regime. Spesso ne hanno fatto le spese personaggi come Giovanni Gentile, a cui non era imputabile alcuna personale efferatezza. Bene, Cristini riuscì a passare indenne attraverso le maglie della giustizia, sino a beneficiare dall'amnistia voluta da Togliatti (anche a tutela di molti ex fascisti ora in quota Pci). Ci fu chi reagì come il socialista Nenni: «Se qualcuno ci avesse detto, quando votammo la legge sull'amnistia, che essa avrebbe liberato dal carcere i Cristini, colpevoli di aver mandato in galera per decine di anni i migliori antifascisti, non io solo, ma il presidente del Consiglio, ma il ministro Cattani avremmo protestato con indignazione». Ma non servì. Un esempio emblematico di come l'antifascismo funzionò a singhiozzo.

Tra i sommersi e i salvati dal furore resistenziale, spesso i salvati non furono gli innocenti.

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