Cultura e Spettacoli

"Ho scelto di andare in Rai perché ho voglia di rischiare"

Il cantante libanese racconta i suoi nuovi progetti tv: "Faccio un one man show e racconto l'Italia"

"Ho scelto di andare in Rai perché ho voglia di rischiare"

Quasi quasi sembrano un tutt'uno, lui e i ragazzi del Giffoni Film Festival, durante la chiacchierata lunga e candida di ieri all'ora di pranzo. Tra loro e Mika nella Sala Truffaut c'è stato uno scambio alla pari perché, parole sue, «i giovani ascoltatori ti obbligano a esser competitivo e sono una risposta al cinismo che si respira nel mondo». Mika compirà 33 anni tra poco. E molto prima riceverà il disco di platino per il disco No place in heaven, un risultato raggiunto a furia di concerti perché «è un album molto intimo che ha avuto molto successo anche in Francia e in Asia».

Dopotutto questo interprete anglolibanese, nato a Beirut e cresciuto a Londra, è un personaggio sui generis tanto è delicato, ironico, creativo e quasi etereo. Sembra, bontà sua, arrivare da un altro tempo, dalle pagine di Lewis Carrol o da qualche fumetto degli anni Trenta. «Mi sono addormentato dopo pranzo, ho fatto una pennichella», dice con quel suo accento colorito, un accento «né né», né inglese né italiano e talvolta quasi comico. In ogni caso, è uno dei protagonisti del momento e non solo perché è un educatissimo Peter Pan ma pure perché, dopo tre edizioni, educatamente ha salutato X Factor e Sky per arrivare a Raidue. E lui ne parla così (per la prima volta).

Lo sa, caro Mika, che ha invertito una tendenza? Prima tutti fuggivano dalla tv generalista. Lei ci debutta.

«Saranno quattro prime serate a novembre. Non andremo in onda di giovedì, perché non voglio dare l'idea di fare concorrenza a X Factor. Mi immagino un varietà, un one man show con molti filmati girati in esterna e tanti ospiti, non tutti conosciuti dal pubblico italiano. E in più ci sarà un'orchestra. Insomma, sarà una sorta di confronto tra l'Italia e me. Ah, e tra gli ospiti ci sarà anche Virginia Raffaele».

Ma perché ha lasciato X Factor?

«Perché mi sono chiesto: sono qui da tre anni e che cosa so dell'Italia? Sky sa fare grandi produzioni ma io avevo paura di ripetermi».

Aveva paura di non avere più paura di andare in onda?

«Sì, non voglio perdere la mia freschezza, voglio continuare ad avere scomodità e nervosismo in diretta».

Ma perché proprio la Rai?

«Conosco da tempo Ilaria Dallatana (la direttrice, ndr) e, dopo tutti i cambiamenti in Rai, ho capito che c'era voglia di scommettere su di me. Io voglio fare qualcosa che mi somigli, perciò nella squadra ho voluto anche tanti che lavorano con me durante i tour all'estero».

A proposito, ha visto i nuovi coach di X Factor?

«Un bel mix con quattro musicisti».

Compreso Manuel Agnelli degli «alternativi» Afterhours?

«Beh lui al tavolo fa bella figura, mica è un brutto uomo...».

Scusi ma dopo la televisione pensa di darsi pure al cinema?

«Nooo. Anche se ho fatto uno screentext, insomma un provino per una produzione non italiana».

Ovviamente non può rivelare altro.

«Ovviamente. Ma non sarà qualcosa di comico o brillante, se mai andrà in porto».

Nel frattempo sta girando il mondo.

«Diciotto mesi di tour non sono pochi ma sono quasi arrivato alla fine. E in tutto questo tempo talvolta sono stato testimone delle tragedie che ci hanno macchiato. Ad esempio a Nimes, quando ho cantato subito dopo il disastro di Nizza, mi sono reso conto che condividere e cantare insieme è fondamentale».

Detto da lei che è nato nella terra degli hezbollah...

«L'ultima volta che ho cantato dalle mie parti, i biglietti sono stati venduti soltanto il giorno prima perché fino a quel momento la gente aveva paura. Ora c'è meno tensione».

E c'è ancora la sua famiglia lì?

«Sì ma i nostri rapporti non sono granché perché loro non sono molto tolleranti, anzi sono proprio tradizionalisti. E non ho paura che leggano questa intervista perché è vero...».

Entro Ferragosto può iniziare l'iscrizione ai registri per le unioni civili.

«È stata solo una questione di tempo, come in Francia e in Gran Bretagna. L'intolleranza provoca sempre negatività».

O addirittura provoca terrore.

«Qui a Giffoni vedo i ragazzini girare per strada senza uomini armati o cingolati a proteggerli. Uno spettacolo che in America non sarebbe possibile.

Ma che deve tornare a essere la normalità in tutto il mondo».

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