Cultura e Spettacoli

Houellebecq depresso trova un po' di felicità

Houellebecq depresso trova un po' di felicità

Sono due i grandi amori filosofico-letterari di Michel Houellebecq. Del primo sapevamo, conoscendo H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, il suo primo libro, uscito nel '91 (nel 2001 in italiano da Bompiani) dopo le iniziali prove poetiche.

Del «solitario di Providence», ad affascinare «il Baudelaire dei supermercati», come lo definisce, in positivo, Dominique Noguez, è l'essere «non esattamente letterario», il produrre come «una gigantesca macchina per sognare», la totale assenza di «sesso, denaro, religione, tecnologia, ideologia, suddivisione della ricchezza... un buon romanziere non può ignorare nulla di tutto ciò», «l'adozione di personaggi intercambiabili e piatti». Infine, ma prima di tutto, lo stile, cioè l'assenza di stile. «Se lo stile di Lovecraft - scrive il francese - è pietoso possiamo allegramente concludere che lo stile non ha, in letteratura, la minima importanza; e passare ad altro». Bene, passiamo anche noi ad altro, cioè al secondo (ma cronologicamente è il primo), amore dell'Houellebecq lettore: Arthur Schopenhauer. Intorno ai 26 anni, Michel ha in cascina una buona provvista di fieno culturale: Baudelaire, Dostoevskij, Lautréamont, Verlaine, «quasi tutti i romantici», «molta fantascienza», la Bibbia, i Pensieri di Pascal, La montagna incantata di Mann. «Scrivevo poesie; anziché leggere davvero, avevo già la sensazione di rileggere; pensavo quantomeno di aver concluso un ciclo della mia scoperta della letteratura. Poi, nel giro di pochi minuti, tutto è cambiato». Sono gli Aforismi sulla saggezza nella vita del tedesco a rapirlo, e a condurlo nella tana del lupo, vale a dire a Il mondo come volontà e rappresentazione.

Ora, essendo Schopenhauer l'inveramento umanistico di Kant, per quanto si tratti di un umanesimo più coercitivo che liberatorio, e proprio per questo profondamente onesto, dobbiamo fare un passo indietro, nella bibliografia di Houellebecq, e tornare al saggio su Lovecraft. Dove leggiamo: «Così come Kant vuole porre le fondamenta di una morale valida non solo per l'uomo ma per tutte le creature in grado di ragionare, Lovecraft vuole creare un fantastico capace di terrorizzare ogni creatura dotata di ragione». Ecco perché il kantiano Lovecraft e il post-kantiano Schopenhauer prendano posto, nel pantheon intellettuale di Houellebecq, uno accanto all'altro. Non a caso, dopo il saggio sul creatore di Cthulhu e di infiniti altri mondi da incubo, ecco il secondo omaggio-studio dell'autore di Piattaforma e La carta e il territorio. S'intitola In presenza di Schopenhauer (La nave di Teseo, pagg. 74, euro 11, traduzione di Vincenzo Vega). E siccome in amore la cosa più importante è sempre la sincerità, il buon Michel esordisce confessando non proprio un tradimento, ma quello che possiamo chiamare un matrimonio d'interesse. Una decina d'anni dopo aver conosciuto Schopenhauer, spiega infatti, s'imbatté in Comte. Che è come dire passare dal fuoco all'acqua, dalla combustione che tutto divora lasciando la cenere della disillusione alla riduzione allo stato liquido delle passioni, incanalate nell'alveo del raziocinio. Insomma: «alla fine ho dovuto fare una scelta; e progressivamente, con una sorta di entusiasmo deluso, sono diventato positivista».

Ma poiché i grandi amori non si cancellano, nel 2005 Houellebecq riprese in mano il suo vecchio maestro Arthur. Questa volta, addirittura per tradurlo. A spizzichi e bocconi, certo, in modo non sistematico. Per il piacere di sfogliare un album pieno di fotografie ingiallite dal tempo. Fu un ritorno di fiamma che ora qui, nuovamente in presenza del re dei pessimisti, apre alcuni insperati spiragli di ottimismo al cronicamente e pervicacemente depresso e fuori posto Houellebecq, il quale recupera quelle traduzioni, commentandole e attualizzandole. Perché la filosofia di Schopenhauer, dice l'autore, «è innanzitutto un commento sulle condizioni della conoscenza: un'epistemologia». Quindi uno strumento che, due secoli dopo, è come una vecchia zappa da museo etnografico, comunque utile ed efficace per lavorare sul terreno del sapere e del non sapere. E perché se è vero che il mondo è vincolato alla rappresentazione che noi ne diamo, e in qualche modo ci costringe a rappresentarlo, per viverlo, è altrettanto vero che è anche avvolto, custodito, arricchito dalla nostra e dall'altrui volontà, mettendoci in contatto con la dimensione del bello e del buono, l'antico «kalòs kai agathòs».

Houellebecq traduce così un cristallino passo di Schopenhauer: «Poiché, da un lato, ogni cosa presente può essere considerata in maniera puramente oggettiva e al di fuori di ogni relazione; e, dall'altro, la volontà, a qualsiasi livello della sua oggettità, si manifesta in ogni cosa, e che la cosa stessa è anche l'espressione di un'idea; ne consegue che ogni cosa è bella». E chiosa: «Dopo l'arte del XX secolo, l'osservatore che fa il quadro e i ready-mades di Duchamp, quest'idea ci sembra meno sorprendente».

E poi, basterebbe mettere «brutta» al posto di «bella» e sarebbe d'accordo anche Lovecraft.

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