Cultura e Spettacoli

I migliori libri conservatori (che in Italia non leggiamo)

Yoram Hazony è autore del saggio dell'anno, "The Virtue of Nationalism". Un premio simile servirebbe pure da noi

I migliori libri conservatori (che in Italia non leggiamo)

Nell'asfittico panorama dei premi letterari italiani dominati dal conformismo e dal trionfo del politicamente corretto, l'esistenza di un premio dedicato al miglior libro conservatore dell'anno rappresenta già una notizia, se poi a vincerlo è un saggio che elogia le virtù della nazione e del nazionalismo (inteso in senso americano, non europeo) siamo di fronte a un evento. Peccato che il premio in questione non sia promosso in Italia ma negli Stati Uniti dall'ISI Institute, un prestigioso think tank conservatore con sede a Wilmington in Delaware.

Il «Conservative Book of the Year award» si è accreditato negli anni (la prima edizione è del 2006) come il principale premio per saggi di carattere conservatore negli Stati Uniti, indetto alla memoria di Henry e Anne Paolucci - due professori, scrittori, intellettuali che hanno dedicato la loro vita allo studio del conservatorismo con un'attenzione particolare alla figura di Machiavelli - arrivare tra i finalisti rappresenta la consacrazione per ogni scrittore conservatore.

Tra i vincitori delle passate edizioni ci sono autori del calibro di Rod Dreher con The Benedict Option. A Strategy for Christians in a Post-Christian Nation tradotto in Italia da San Paolo e definito da David Brooks «il più importante libro di religione dell'ultima decade»; Bradley J. Bizer con la biografia di Russell Kirk; John Fonte con Sovereignty or Submission in cui l'autore si interroga sul futuro degli Stati Uniti.

Il prestigio del «Conservative Book of the Year award» è sancito dalla giuria formata da scrittori, giornalisti, professori, intellettuali tra cui Clara Sarrocco, executive director of the Council on National Literatures e Serphin Maltese, former chairman del Conservative Party di New York.

L'ultima edizione, quella di quest'anno, ha un valore particolare poiché stiamo vivendo un periodo storico di profondi e repentini cambiamenti sociali e politici in cui è in discussione il ruolo delle nazioni nel contesto globale, dopo anni in cui si è cercato di smembrare le strutture politico-istituzionali degli stati nazionali e di cancellare l'identità dei popoli, si assiste a un ritorno verso le nazioni considerate un baluardo della libertà dei cittadini. È questa la visione di Yoram Hazony, filosofo e scrittore di origine israeliana, presidente dell'Herzl Institute di Gerusalemme, che emerge in The Virtue of Nationalism votato come il miglior libro conservatore dell'anno (è stato recensito sul Giornale da Marco Gervansoni il 18 ottobre 2018). Per comprendere il libro di Hazony è importante differenziare il concetto di nazionalismo come è inteso in Europa rispetto agli Stati Uniti. In Europa il nazionalismo è considerato con un'accezione negativa derivante dalle esperienze delle dittature del Novecento mentre oltre oceano, in un'ottica conservatrice, significa amore per la patria e la nazione. Hazony nel suo libro declina il «nationalism» in questa accezione sostenendo la necessità di un mondo costituito da nazioni sovrane in grado di garantire la libertà dei popoli tutelando le identità, limitando odio e conflitti, e paragonando i vecchi imperi alle attuali organizzazioni sovranazionali (Unione europea e Nazione Unite) controllate da un establishment internazionalista. Dalla lettura del saggio di Yarom Hazony emergono i temi chiave che hanno portato all'elezione di Donald Trump e l'humus culturale su cui si fonda la retorica del Presidente degli Stati Uniti.

Approfondendo l'idea di nazione tratteggiata da Yoram Hazony, viene in mente la visione comunitaria di Ferdinand Tönnies caratterizzata da un insieme di cittadini con valori e idee comuni, una prospettiva antitetica alla situazione attuale delle nazioni occidentali a partire da Usa e Gran Bretagna che pure Hazony prende come esempio. The Virtue of Nationalism andrebbe letto come un vademecum per riscoprire i caratteri e le istanze positive non tanto del nazionalismo bensì della nazione, un'entità politica di cui si sente il bisogno in un mondo sempre più spersonalizzato e privo di precisi riferimenti politici, ideologici e culturali.

Non a caso il tema dell'identità è il fil rouge che lega i libri finalisti al «Conservative Book of the Year award»; dalla perdita dell'identità nelle società liberali denunciata da Patrick J. Deneen in Why Liberalism Failed (in uscita in Italia per le Edizioni La Vela di David Nieri), alla necessità di riscoprirla evidenziata da Roger Scruton nel suo Conservatism: An Invitation to the Great Tradition, alle politiche identitarie analizzate da Jonah Goldberg in Suicide of the West fino all'interrogarsi sul proprio ruolo nella società dei giovani studenti trattato da Greg Lukianoff e Jonathan Haidt in The Coddling of the American Mind.

Libri che andrebbero tradotti in italiano, a partire dal testo di Hazony, per contribuire ad arricchire il dibattito sul ruolo delle nazioni nei prossimi anni già avviato con la recente pubblicazione di Che cos'è una nazione? di Ernst Renan, de La nazione. Storia di un'idea di Anthony D.

Smith e dei due volumi Nazione e nazionalismi curati da Alessandro Campi.

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