Cultura e Spettacoli

I millennials senza miti rock travolti dal carisma di Freddie

I Queen sono i re dei «Globes» grazie a «Bohemian Rhapsody». E i loro brani fanno impazzire Spotify

I millennials senza miti rock travolti dal carisma di Freddie

Insomma anche ai Golden Globes è stato un trionfo. Bohemian Rhapsody di Bryan Singer ha vinto il globo come miglior film drammatico e Rami Malek è il miglior attore alla faccia di tutti i pronostici che davano vincitori tutt'altri. Ma questi premi, che solitamente sono l'anticamera degli Oscar, sono addirittura bazzecole a confronto di ciò che sta accadendo ai Queen, una delle più decisive band rock, formata nel 1970 e finita nella formazione originale con la morte di Freddie Mercury il 24 novembre 1991.

Il film, che in Italia è stato il più visto nel 2018, ha sdoganato i Queen anche tra i millenials, tra chi neppure era nato quando la morte per Aids di Freddie Mercury sconvolse il mondo e oggi si ritrova a confrontarsi con una delle storie più affascinanti, gloriose e tragiche della musica. E i dati parlano chiaro, e non soltanto per quanto riguarda i cd che non si ascoltano neanche più in auto e sono, ahimé, roba da ultraquarantenni. I Queen sono esplosi pure in streaming, che è la frontiera dei giovanissimi. «Su Spotify loro sono più popolari che mai» conferma il blog della società. Per capirci, da quando il film è apparso nei cinema gli ascolti delle canzoni dei Queen sono cresciuti almeno del 333%. La media di streaming mensile è stata di 39,2 milioni di ascolti portando i Queen a essere i quindicesimi più ascoltati di sempre su Spotify. E non è soltanto l'effetto di un film che ha ricevuto qualche inevitabile critica degli integralisti (Leslie Ann Jones biografa di Mercury lo ha definito «un superficiale collage di fotografie») e le implacabili spigolature dei super fan ma ha anche collezionato un entusiasmo che all'inizio era difficile da prevedere. Perché? Probabilmente perché, nell'epoca della fiction e del politicamente corretto, la storia dei grandi artisti rock resta una delle migliori sceneggiature possibili e consente di trattare argomenti come il talento maledetto, la droga e il sesso senza le zavorre che oggi vengono imposte a qualsiasi copione.

L'epopea dei Queen è dopotutto una delle più esaltanti di sempre, un macramé di esagerazioni e ispirazione e anticonformismo che oggi fa ancora più sensazione perché è impensabile specialmente per il pubblico che sta «strimmando» i loro brani. La musica leggera di oggi è molto omogenea, gli argomenti sono generalmente identici e i suoni pure, complice anche l'appiattimento tecnologico. Si è quindi assuefatti alle mode. I Queen fotografano un'epoca nella quale il successo si identificava nella fuga dalle mode. Quando hanno pensato, composto e suonato Bohemian Rhapsody (diventata ora la più ascoltata in assoluto tra quelle del Novecento con 1,6 miliardi di ascolti sulle varie piattaforme streaming) i Queen volevano essere «diversi» e non uguali da Led Zeppelin, Deep Purple o Pink Floyd che allora dominavano le scene rock. E difatti il brano si divide in cinque diverse parti principali, mescola classica e hard rock e ha un testo con più livelli di lettura. Per qualcuno è un insieme di provocazioni o nonsense. Per altri è il vero «coming out» di Freddie Mercury, a quel tempo appena separato dalla fidanzata Mary Austin e ormai consapevole della propria bisessualità. Figlio di seguaci del zoroastrismo che condannava l'omosessualità, quando canta «Mamma, ho appena ucciso un uomo» probabilmente Freddie Mercury si riferiva alla propria eterosessualità ormai superata. In poche parole, c'era un mondo misterioso dietro a quella voce e quella chitarra e non è un caso che questo fascino attiri soprattutto chi non lo ha vissuto in prima persona. Di certo, oggi i campioni del pop non possono più avere zone d'ombra o eccessi o misteri visto che sono ventiquattr'ore al giorno su Instagram. Allora sì. E, dopo aver attraversato i canonici due decenni di oblio, quelle epopee riemergono con la stessa forza.

Attenzione, qualcuno potrebbe obiettare che ci sono sempre stati biopic sulle rockstar. Ad esempio, The Doors di Oliver Stone del 1991 sulla vita di Jim Morrison. Un successo a metà. «Se Jimmy fosse stato davvero così cupo e ossessionato dal sesso, i Doors sarebbero durati sei mesi: Jimmy era uno simpatico che raccontava barzellette», mi ha detto il tastierista Ray Manzarek alla presentazione del film. La differenza con Bohemian Rhapsody è che nel 1991 le rockstar c'erano ancora e, uscito dal cinema, lo spettatore poteva andare ai concerti di Guns N'Roses o Nirvana. Oggi c'è un vuoto che evidentemente i giovanissimi percepiscono molto più di chi ha vissuto quell'epoca. E Freddie Mercury diventa un'icona anche per chi non l'ha mai visto dal vivo.

Proprio come accade ai maestri della classica, quelli capaci di restare sempre nuovi e sempre sorprendenti per chi non li conosceva.

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