Cultura e Spettacoli

I mondi spietati della magica Carrington

Le storie horror e beffarde di una donna per cui la (sur)realtà è la normalità

I mondi spietati della magica Carrington

C'è un dipinto di Leonora Carrington (1917-2011), nata nel Lancashire e vissuta per la maggior parte dei suoi 94 anni in Messico, che dice già tutto. È un Autoritratto del 1937-38, e si trova al «Met», New York. Lei indossa pantaloni alla cavallerizza, stivali in stile vittoriano, una giacca verde, con una folta capigliatura incolta (rossiccia: era di origini irlandesi, e i miti e il folklore di quella terra non sono irrilevanti nelle sue visioni artistiche e letterarie), è seduta in una stanza insondabile e davanti a sé ha una iena che si rizza mostrando tre mammelle, poi c'è un cavallo a dondolo bianco e la sua ombra dipinta sul muro, mentre nel paesaggio che si intravede dalla finestra appare un altro cavallo, più piccolo. Bene. Atmosfere, personaggi e inquietudini del quadro potrebbe essere usciti da uno dei racconti, folli e spietati, che Leonora Carrington - pittrice surrealista, compagna di Max Ernst, femminista agguerrita - comincia a scrivere in quel periodo.

La premessa è già troppo lunga. La sostanza, invece, è tutta nella raccolta di racconti, scritti fra il 1937 e il 1940, che prendono il titolo dalla prima short story, La debuttante (a proposito: una ragazza, per evitare di partecipare al ballo organizzato in suo onore, chiede a una iena di sostituirla, con conseguenze non si sa se più granguignolesche o grottesche) ora pubblicato, con tre storie inedite, da Adelphi (pagg. 192, euro 17; trad. N. Marotta e M. Gini). Sono racconti - come tanti suoi dipinti - enigmatici, beffardi, visionari, fantastici, fra humour nero, favole capovolte e allucinazioni ipnagogiche. Tra i tanti, segnaliamo «Mia madre è una vacca», «Il cammello di sabbia», «La casa della paura», oppure «Conigli bianchi» (sconsigliato ai vegetariani). Dentro ci sono animali molto umani, uomini molto bestiali, giardini infestati, dame alte tre metri, la Paura (la cui veste da camera «era fatta di pipistrelli vivi cuciti insieme per le ali») e adolescenti dallo sguardo nostalgico che sputano sul ritratto della madre. Storie, fra Hieronymus Bosch e Juan Rodolfo Wilcock, che raccontano una (sur)realtà che noi è mai stata così spiazzante.

E divertente.

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