Cultura e Spettacoli

Una giornata in auto con Pound e il "Vanni"

Il racconto di Piero Chiara (scritto nel 1960 e restato fino a oggi inedito) dal titolo "Viaggio con Ezra Pound". Il libro è stato stampato in 300 copie numerate

Una giornata in auto con Pound e il "Vanni"

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo il racconto di Piero Chiara (scritto nel 1960 e restato fino a oggi inedito) dal titolo "Viaggio con Ezra Pound". Il libro, stampato in 300 copie numerate, è una delle nuove uscite presentate dall'editore De Piante alla fiera milanese "Tempo di libri" che si apre oggi e proseguirà fino al 23 aprile a Fiera Milano Rho.

Una esecuzione di musiche inedite di Scarlatti, che veniva data all'Angelicum di Milano, fu il migliore argomento per indurre Ezra Pound a lasciare il suo rifugio a Brunnenburg sopra Merano.

Quelle musiche inedite erano state scoperte e trascritte da Pound in una biblioteca tedesca molti anni prima, e il Poeta non resistette al desiderio di sentirle eseguire.

Una volta a Milano, altri amici lo avrebbero trascinato a Roma e forse Pound avrebbe ripreso contatto col mondo, con l'Italia che aveva tanto amato ai tempi della sua gioventù e della sua libertà.

Era stata per lui l'Italia un dono celeste, trovato sulla sua strada, che Iddio volle segnargli «in luoghi ameni» fino al giorno del dolore. Ma ora, da quando era tornato dal buio a questa luce, Pound ne sembrava come abbagliato; e se ne stava lassù, dove incomincia l'Italia, appartato, a guardarla con tristezza dalle finestrelle della rocca.

Bisognava farlo uscire, anche in pieno inverno: rimetterlo in movimento. E Vanni Scheiwiller guidò l'impresa.

Quando arrivammo sotto le mura del Castello era quasi sera e la piana meranese venata di neve diventava violacea.

Nel salone, ancora illuminato dalla luce del giorno, c'erano ospiti arrivati per il thè. In un angolo, seduti in basse «savonarole», due solenni vecchi stranamente abbigliati giocavano a scacchi, concentrati nelle ultime mosse. Erano Ezra Pound e il suo amico Dadone.

A sera fatta, partiti gli ospiti, si cenò in quella sala a un tavolo rotondo. Poi venne per Pound la tortura della correzione di un pacco di bozze che Scheiwiller gli sottoponeva: era il volume di Fenollosa sull'ideogramma cinese.

Dopo un'ora il Poeta era esaurito. Stendendosi sulla lunga poltrona disse: «Questa stanchezza è incivile». E ben presto si ritirò, sconsolato e triste, come un re shakespeariano colpito dal destino.

Al mattino la partenza era fissata per le 9, e Pound alle 9 era pronto, col cappello in testa, il bastone alla mano e una sacca da viaggio a tracolla.

Nella fredda mattina risalimmo e scendemmo l'erta, fino al villaggio di Tirolo, poi Pound si installò in un angolo dell'automobile, col capo sostenuto da un rotolo di pullover.

Lungo il Passirio si scese a valle. Il vecchio Poeta, taciturno e triste, guardava il paesaggio invernale.

«Sto cercando disse un argomento di conversazione». Ma non lo trovò. Temeva di non sapere più discorrere in italiano, o che non ci fossero più argomenti di conversazione per gli uomini.

La strada gelata era difficile. Fino al lago di Garda la facemmo parlando a tratti: lui seguiva i nostri discorsi, ascoltava Dadone che raccontava della guerra 1915-18 da lui fatta sui monti che attraversavamo, e Vanni che faceva progetti di nuovi libri e di nuovi viaggi.

A Riva, vedendo il lago azzurro sotto un vento che sembrava di primavera, Pound si rianimò e propose di fermarsi a Limone, in un albergo che conosceva, per la colazione di mezzogiorno.

Si scese sulla riva e si posteggiò nella deserta piazzetta di Limone. Poi Pound aprì la marcia, controvento, puntando fortemente il bastone per terra e tenendosi stretto un pullover intorno al collo. Noi dietro, quasi sperando che ci conducesse a qualche grande impresa.

Egli trovò l'albergo, scelse il tavolo di fronte a una vetrata e si pose in mezzo a noi come un capo, il fiero sguardo rivolto al lago in tempesta.

L'albergo apparteneva a un appassionato di cavalli, ed era tutto decorato da quadri e fotografie dove si vedevano dei famosi purosangue che gli erano certo costati cari nelle scommesse. Anche quel giorno il proprietario era andato in una città dove c'era qualche riunione di trotto. Ci accolse perciò la moglie, con grande gentilezza, e ci fece abbondantemente servire. Dai saloni perfettamente tenuti benché non ci fosse all'infuori di noi neppure un cliente, si vedeva il lago pieno di vento e di sole invernale. Nessuno sapeva come mai Pound conoscesse quell'ottimo albergo.

Durante il pranzo con poche parole legava insieme i nostri discorsi, li dirigeva o li assorbiva nei suoi oscuri silenzi.

Era dominato dai ricordi, come un redivivo:

O Dio delle acque.

Come sono le tue stelle

silenti nel loro grande moto,

così il mio cuore

è silente dentro di me.

La lunga strada che ci restava fino a Milano passò tra bufere di neve e di vento. Il Poeta era stanchissimo ed aveva rinunciato a seguire il viaggio col suo sguardo acuto e penetrante. Si assopiva.

Approdammo verso sera a un caffè di Corso Sempione.

Pound era sfinito, ma quella sera stessa, prima di cena, volle andare in Piazza del Duomo.

Aveva ripreso contatto con un mondo che aveva conosciuto in altri tempi, che amava tenacemente ancora attraverso immagini quasi spente e affievolite, ma vive dentro di lui e forse già chiuse in parole da scrivere, lentamente; da incidere nelle ultime strofe di un canto finale.

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