Cultura e Spettacoli

"Io sempre cattivo? Sì, ma in teatro mi do alla commedia"

Kevin Spacey a roma per presentare "Baby Driver" in cui è un boss: "Io sempre cattivo? Sì, ma in teatro mi do alla commedia"

"Io sempre cattivo? Sì, ma in teatro mi do alla commedia"

Di persona, Kevin Spacey è dolce, intenso, spiritoso. Sarà perché a Roma la star di House of Cards si rilassa a Monte Mario, ma l'attore, produttore, regista e sceneggiatore 58enne, ora uomo di punta di Netflix, non ha niente in comune con i suoi personaggi aggressivi. Quell'uomo maligno, ricoperto di petali di rosa, che abbiamo conosciuto in American Beauty (1999) o nei I soliti sospetti (1995) e soprattutto negli intrighi e violenze della serie House of Cards, gli sono lontani anni luce. «Vorrei soltanto che piovesse», considera lui, camicia blu a fiorellini anni Sessanta e mocassini da fichetto, mentre si divide tra la Capitale assolata e Ravello, dove sta girando Gore, sempre per Netflix, film di Michael Hoffman sullo scrittore Usa Gore Vidal. Un'estate frenetica, la sua: dopo aver impersonato John Paul Getty nel biopic di Ridley Scott All the Money in the World, storia del vero rapimento del magnate del petrolio Paul Getty III, promuove Baby Driver-Il genio della fuga (dal 7 settembre) di Edgar Wright, brillante thriller d'azione, dove Kevin è Doc, spietato boss della mala.

Le piace interpretare parti da duro?

«Mi piace soprattutto quando il pubblico ti può incontrare a metà strada. Ho sempre incarnato personaggi che non sono una cosa solamente: così il pubblico può oscillare, da una parte all'altra. Nello specifico, il mio Doc mi ha intrigato perché era... una parte adatta a Michael Caine!»

Preferisce le parti da politico cinico, come il Frank Underwood di House of Cards, oppure quelle da criminale incallito?

«Mi va bene tutto. Nel mio lavoro di attore, devo mettermi al servizio dello scrittore e del regista. Interpreto i personaggi nel tentativo di aiutare lo scrittore e il regista a fare bene il film».

Lavora spesso con attori giovani, come in Baby Driver, accanto ad Ansel Elgort. Che cosa insegna loro?

«Non sono in grado d'insegnare nulla a nessuno. La mia lezione più grande è saper osservare l'esempio. Dopo aver fatto teatro con Jack Lemmon, a Broadway, ho imparato a osservare. Lemmon ha portato avanti la sua carriera in modo tale da arrivare al top della professione, di decennio in decennio. Quando faccio il protagonista, so d'essere anche leader, conduttore, cioè, della compagnia. Sono un uomo da compagnia teatrale. Il cinema incoraggia l'isolamento: non racconta mai la storia dall'A alla Z. È tutto un: questa è la mia scena, queste le mie battute».

Qual è il suo rapporto con un mostro sacro come Jack Lemmon?

«Qualsiasi confronto tra me e lui, sarebbe per me un onore immenso! Purtroppo, mi offrono la minima parte dei ruoli che offrivano a lui. Però io mi siedo e aspetto. Adoro il genere commedia, che ho portato in teatro: canto e posso esprimere una parte di me. Però, la gente è abituata a suddividere gli attori per categorie: ecco, sfido le categorizzazioni. Anche se, spesso, mi vengono imposte».

Come si è trovato a girare con Edgar Wright?

«È un grande narratore: sa raccontare le storie e sorprenderci con generi diversi. E' regista brillante, inventivo e perciò spero possa esserci un sequel di Baby Driver. Magari, intitolato Baby Doc».

Qual è la sua personale colonna sonora?

«Stevie Wonder, a livello terapeutico. Se sei depresso, metti un brano di Ella Fitzgerald e scendi in città».

Dopo l'attentato di Barcellona, l'Europa è nuovamente sotto attacco dell'Isis. Che cosa ne pensa?

«Non sono d'accordo: per me Londra, Parigi, Barcellona, non sono sotto attacco! Quelli dell'Isis sono soltanto tristi perdenti isolati. Le cose andranno a posto. Tutto dipende dalla nostra risposta».

Negli Ottanta a Broadway; nei Novanta a Hollywood, poi la direzione dell'Old Vic a Londra e, infine, House of Cards. Qual è il segreto del suo eclettismo?

«Essere interessato. E non passare la vita a cercare lo stesso solco nel disco e ripeterlo ancora, ancora e ancora. Mi piace quello che è ora.

E anche la prossima cosa».

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