Cultura e Spettacoli

Le isole dei libri. Ecco l'arcipelago dei capolavori scritti da "isolati"

Dall'Islanda alle Samoa, tanti celebri volumi sono nati in mezzo al mare...

Le isole dei libri. Ecco l'arcipelago dei capolavori  scritti da "isolati"

Certo, tutti a stanare il libro per l'isola deserta. La cosa certa, comunque, è che sull'isola deserta, di solito, si trova uno scrittore, per sua natura un isolato, intento a scrivere il libro assoluto. Quello che voi, tra un secolo, vi porterete sull'isola deserta. Ecco: questo non è un articolo. Piuttosto, è un viaggio tra isolotti letterari e arcipelaghi della solitudine. In principio fu un'isola. La poesia occidentale, si sa, nasce su un'isola: Saffo è di Lesbo, Omero «è un cieco che abita in Chio rocciosa». D'altronde, Odisseo regna su Itaca e nell'Odissea lo troviamo mentre piagnucola sulla spiaggia dell'isola Ogigia, «perché non gli piaceva più, la ninfa Calipso», che di notte lo obbliga a divine prestazioni sessuali. Il legame con quelle isole sarà ripercorso da Ugo Foscolo, che mitizza «Zacinto mia, che te specchi nell'onde/ Del greco mar, da cui vergine nacque// Venere».

Fuga verso le Isole Fortunate. Lo scrittore desidera l'isola deserta perché l'uomo, di per sé, è un'isola. La felicità immaginaria con vegetazione che offre frutti spontanei e dèi in quantità , non a caso, è posta dagli antichi nelle Isole Fortunate, le attuali Canarie. José Saramago si trasferisce alle Canarie, a Lanzarote, nel 1993, lì scrive, ha fortuna il Nobel per la letteratura lo coglie nel 1998 e muore; lo seguirà Michel Houellebecq che a Lanzarote dedica un libro (non il più bello). Emil Cioran, parecchi anni prima, nel 1966, opta per la fuga verso le Baleari, a Ibiza: ne scaturisce il corrosivo Taccuino di Talamanca, capace di disintegrare l'ansia isolana dei puri di cuore («Sono venuto qui per il sole, e non sopporto il sole e se andassi a buttarmi giù dalla falesia?»). Invece, è da «un paesino sui monti di Maiorca, cattolico ma anti ecclesiastico, dove la vita è ancora regolata dall'antico ciclo agricolo» che Robert Graves riannoda il rapporto con i miti greci e scrive il libro più alto e misterioso, La Dea bianca, scagliandosi contro la civiltà di oggi, «in cui il serpente, il leone e l'aquila appartengono al tendone del circo... la Luna è disprezzata come un satellite senza vita... Il denaro può comprare ogni cosa eccetto la verità, e chiunque eccetto il poeta posseduto dalla verità».

Islanda Felix. Secondo il geografo romano Pomponio Mela, autore del De Chorographia, la felicità si trovava nell'estremo Nord, nell'isola di Taige, in pieno oceano Artico. A Nord l'isolamento è cubico, l'isola è un deserto di ghiacci. L'Islanda, tra i tanti, ha sedotto due poeti, diversamente decisivi. Wystan H. Auden, nel 1936, racconta il suo Viaggio in Islanda come «barbaglio/ dei ghiacciai», «immature sterili montagne», dove «uccelli impazzano impettiti». Sintesi lirica: «Questa è un'isola, pertanto/ Irreale». Per Jorge Luis Borges, l'Islanda fu una ossessione estetica, estatica: nella poesia In Islanda l'alba la descrive come «il cristallo nero in cui si specchia/ Iddio, che non ha volto».

Mostruosa Polinesia. «Gauguin fu un mostro. Non possiamo cioè farlo rientrare in nessuna delle categorie morali, intellettuali o sociali, che bastano a definire la maggior parte delle individualità»: Victor Segalen, poeta esperto in smarrimenti preferì perdersi nelle arse pianure cinesi solcò l'oceano per far visita a Paul Gauguin. Il pittore «mostro» che aveva reciso i legami con l'Occidente ritirandosi a Hiva Oa, nelle Marchesi, dipingendo quadri mai visti, era già morto. Prima di lui, però, alle Samoa, la sua isola del tesoro, nel 1894, se n'era andato Robert Louis Stevenson, «Tusitala» per gli indigeni, il narratore di storie. L'isola remota vuole un sacrificio, e si divora lo scrittore. La Polinesia è un magnete letterario: Herman Melville dedica i primi libri, Taipi (1846), Omoo (1847) e Mardi (1849) alla Polynesian Life: pochi anni dopo capirà che non c'è deserto più feroce dell'oceano, da cui, simile al dorso di un'isola, balugina, abbagliante, il corpo della Balena Bianca.

Isole infelici. Dotati di un senso pragmatico senza pari, i russi hanno fatto dell'isola deserta di Sachalin una mastodontica prigione a cielo aperto. «Sachalin è un luogo di inammissibili sofferenze», decretò Anton Cechov, che nel 1890 s'infilò in quell'inferno, ai margini orientali dell'impero. Da quell'isola Cechov rientra, docile all'inquietudine, scrivendo un reportage d'infallibile potenza, per svelare il male delle pene, l'inettitudine dei burocrati, l'idolatria della giustizia, i pentiti inebetiti dalla condanna.

Isole letterarie. Non che le isole letterarie siano candide. Nessuno vorrebbe vivere sulla Laputa di Jonathan Swift, ma neanche sull'isola di Alcina, la fata ariostesca. L'isola di cemento di J. G. Ballard è una agonia contemporanea, ma è nell'isola deserta ipotizzata da William Golding ne Il Signore delle Mosche che scopriamo, con definita potenza, che l'uomo è malvagio, che i bambini hanno il germe del male, purissimo, dentro di sé.

Isole da letterati. Il banchiere irlandese Matthew Dowdy Shiell regalò al figlio, appena nato, che si chiamava come lui, l'isola di Redonda. Di quell'isola, uno sperone disabitato nelle Antille, M. P. Shiel (decapitò la seconda «l»), pioniere della letteratura fantascientifica (è l'autore de La nube purpurea), fu incoronato re.

Isolani. Derek Walcott, Premio Nobel per la letteratura nel 1992, ha fatto di Saint Lucia, nelle Piccole Antille, una specie di nuova Chio, il centro del mondo della poesia epica contemporanea. Eppure, è Saint-John Perse, che il Nobel lo ha incassato nel 1960, a scrivere i versi più commossi alla memoria dell'isolamento, quando «tutto era solo regni e confini di raggi» e il cielo «fiammeggiò come uno sguardo di febbre». Nato «nell'isolotto Saint-Léger-les-Feuilles, di proprietà paterna», nelle Antille francesi, dove «trascorre i suoi primi anni fra terremoti, cicloni, boati di vulcani, stregoni, liane, danze esaltanti» (Romeo Lucchese), lo lascerà per sempre, insieme alla famiglia, trasferendosi in Francia, a 12 anni. Immagini isolane ricorrono ossessivamente nell'opera vertiginosa di Saint-John Perse.

Isolati. Dal 1946, ripetutamente, George Orwell si ritira a Jura, un isolotto pressoché disabitato presso le Ebridi, Scozia. Lì, fuori dal mondo, in un luogo mutato «in una piccola utopia personale» (Guido Bulla), Orwell scrive 1984. Muore poco dopo la pubblicazione.

Il romanzo che schiaccia il totalitarismo nasce nell'isolamento totale.

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