Cultura e Spettacoli

James e la signora ritratta con (apparente) cinismo

James e la signora ritratta con (apparente) cinismo

Nella prefazione a Il carteggio Aspern, uno dei romanzi che decise di inserire nell'edizione newyorkese che raccoglieva, consacrandolo, gran parte delle sue opere, Henry James scriveva che il motivo del libro gli fu chiaro durante la sua permanenza a Firenze. Chi ha un po' di familiarità con l'opera di James sa che le prefazioni ai suoi romanzi (raccolte dal maggiore dei suoi studiosi italiani, Agostino Lombardo, e stampate da Cooper nel 2004), pur restando un documento di capitale importanza anche per una teoria del romanzo, anziché chiarire, spesse volte complicano il contenuto dei libri. Che cosa non dice, o sceglie di non dire James? In quale vuoto ha nascosto il significato, la necessità del libro?

Ce lo rivela Valerio Aiolli, autore di diversi romanzi, tra cui Io e mio fratello e Il sonnambulo, nel suo Il carteggio Bellosguardo (Italo Svevo, pagg. 78, euro 12). Un piccolo gioiello, un'indagine critica e autobiografia nella quale ci accompagna con l'aiuto dello scrittore irlandese Colm Tóibín, conosciuto proprio a Firenze durante un incontro nei luoghi di James di cui aveva scritto in The Master nei segreti della relazione tra Henry James e la scrittrice Costance F. Woolson. E proprio di segreto si trattava, perché i due promisero di distruggere ogni lettera che si spedivano. James, tradendo il patto, ne conservò quattro, la Woolson probabilmente le aveva custodite tutte ma, dopo il suo tragico suicidio, il 24 gennaio del 1894, all'età di cinquantaquattro anni, fu proprio l'amante a mettere mano tra le sue carte, e non è escluso che abbia occultato egli stesso quello che le aveva scritto. Fu un amore mai consumato e a senso unico, e l'omosessualità sempre celata di James avrà sicuramente giocato un ruolo. La Woolson, maggiore di lui di tre anni, lo venerava, considerandolo il maggior narratore del suo tempo quando i due si conoscono, lui è già l'autore di capolavori come Daisy Miller (del 1878 il romanzo che gli darà notorietà) e Ritratto di signora (1880). Da parte sua, James la ripagava chiamandola, in alcune lettere indirizzate a suoi conoscenti, «una vecchia zitella sorda». E una «vecchia zitella» è pure Tina, la donna che il protagonista del Carteggio Aspern cerca di raggirare per ottenere l'epistolario del poeta che sta studiando facendosi affittare qualche stanza nel suo palazzo. Eppure, ogni volta che Costance lo cercava, inseguendolo nei suoi viaggi in giro per l'Europa, Henry non si negava mai a un incontro. E non si negherà neppure a Firenze, quando la scrittrice lo inviterà a vivere in casa sua, nella villa a Bellosguardo, anche se in piani separati (ancora un'analogia col romanzo «italiano» di James), nell'aprile del 1887. È proprio lì che Il carteggio Aspern, già iniziato a Venezia, prende corpo. O meglio, si forma la sostanza di un'ambigua relazione giocata sull'opportunismo e la doppiezza che molto somiglia a quella tra James e Woolson.

Aiolli non è un epigono di James, e non potrebbe essere altrimenti, se è vero che la sintassi dello statunitense, il suo stile cerebrale, tutto incisi e deragliamenti semantici utili a mostrare le linee di un'architettura e che abilmente nascondono spazi vuoti, apnee della mente, sono lontanissimi dalla sua solida asciuttezza narrativa. È chiaro fin da subito, quindi, da quale parte penda la sua simpatia. Woolson non possedeva il genio artistico di James ma non meritava la cattiveria di lui, il quale, con ogni probabilità, si sentì poi responsabile della morte di Costance, tanto da reagire meschinamente, millantando a comuni amici di un progressivo squilibro psichico della donna, nonostante ella fosse rimasta lucidissima fino alla fine. Lo testimoniano gli appunti di un romanzo in cui veniva tratteggiato il carattere di un personaggio che molto somigliava al suo amante mai posseduto: «Immaginare un uomo dotato di una volontà assolutamente inflessibile; estremamente intelligente, egli comprende perfettamente la passione, l'affetto, l'altruismo, il sacrificio di sé ecc., anche se personalmente è freddo e un egoista perfetto».

Ho idea che ciò che Aiolli abbia voluto indagare, per mezzo della vicenda dei due celebri scrittori, sia l'idea che la letteratura nasca da ciò che nella vita resta irrisolto, o incompiuto, causando solo ferite e dolore. Il vero argomento del libro è un interrogativo tanto stringente quanto necessario: può la letteratura non già invertire il vissuto ma dare senso al dolore per una perdita, un'assenza, un vuoto?

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