Cultura e Spettacoli

Joyce Carol Oates si mette a fare la "letterata" e prende per visionari i grandi autori realisti

Un calderone mistico e sociologico che se la prende con il capitalismo e la scienza

Joyce Carol Oates si mette a fare la "letterata" e prende per visionari i grandi autori realisti

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Questa volta mi ha fregato, Joyce Carol Oates, che è una delle più grandi scrittrici viventi e però se si mette a scrivere saggi diventa una letterata, e di letterati interessanti vivi, una volta morto Roland Barthes, ne conosco pochi. Insomma, per farvela breve, il saggio di Joyce Carol appena uscito in Italia si intitola Nuovo cielo, nuova terra, sottotitolo: L'esperienza visionaria in letteratura (il Saggiatore). Ora di scrittori visionari ce ne sono tantissimi, da Jules Verne a Poe a Asimov a David Foster Wallace. Invece la Oates, ve la faccio breve, vuole rendere visionari tutti gli altri, tirando per i capelli il concetto di visionarietà fino a staccargli la testa.

Da una parte individua perfettamente la frattura tra scienza e letteratura e la fine del concetto di libero arbitrio: «furono i pensatori scientificamente speculativi, comunque, che ebbero il più grande impatto sull'atteggiamento del libero arbitrio - Darwin, Marx, Frazer, Freud; nelle opere di ognuno di loro, la libertà della volontà della mente è seriamente messa in discussione». Dall'altra incolpa la modernità, fraintendendola. Da notare anzitutto come, da letterata, metta Darwin tra i pensatori, quando è uno scienziato alla base della più immane rivoluzione biologica dell'ultimo secolo e mezzo, fino al sequenziamento del Dna. Non c'è un solo letterato che citi Darwin sapendo di cosa parla, lo prendono come un filosofo. Da qui, siccome qui Joyce Carol è una letterata, il problema è diventato non l'orribile presa di coscienza della realtà, ma la negazione della spiritualità causata dalla scienza e dal capitalismo. Già, il capitalismo, e ti pareva. Così come già, la scienza, ti pareva.

Ecco quindi che il mondo di Frank Kafka non è la metafora della condizione umana tout court, ma una visione salvifica, da leggersi al contrario, una presa di posizione antimoderna e dunque Il castello o Il processo si possono usare come esercizi zen per stare bene. Accostati senza problemi a The Dollmaker, di Harriette Arnow, perché la protagonista è obbligata dal capitalismo a cucire bamboline commerciali anziché quelle religiose che farebbero bene al suo spirito. Diciamo che se Kafka fosse questo, non sarebbe Kafka. Idem per Sartre, Camus e tutti gli esistenzialisti che sono diventati universali proprio perché non particolari, non sociali, non sociologici, proprio perché hanno colto l'uomo nella sua condizione più cosciente e terribile. Se questa è visionarietà, d'accordo, ma la visionarietà di un'estrema lucidità. Ma se questa è visionarietà, Proust cos'è? Anche lui va letto sociologicamente come oppositore della modernità, quando ha scritto il romanzo più importante di tutti i tempi proprio portando il realismo all'estremo?

Nel calderone mistico cucinato della Oates va benissimo giusto Flannery O'Connor, ma certamente non Samuel Beckett. Perché Beckett è un realista estremo, altro che visionario. Così come Proust era un realista estremo quanto Flaubert. Ne individua giustamente la critica al cogito ergo sum e al dualismo tra mente e corpo, lo fa risalire a Kant e Hume, ma non lo mette in relazione con la biologia e le neuroscienze, per esempio, perché lo legge solo filosoficamente e sociologicamente, per cui anche Beckett è arruolato tra i visionari (qui la Oates sembra un po' André Breton, per il quale erano tutti surrealisti, bastava prendere la tessera del Surrealismo). E soprattutto con modernità e capitalismo Beckett non c'entra niente. Se c'entrasse, sarebbe uno Zola incomprensibile, forse per questo lo prende come un visionario. Nella dissoluzione dell'io beckettiana, nella tragicità dei suoi monologhi che arrivano al silenzio, non c'entra neppure il «blaterare per versare acqua attraverso un setaccio» dell'uomo del sottosuolo di Dostoevskij, c'entra l'assurdità della condizione umana e della coscienza ridotta a essere una coscienza senza scopo, senza identità, e questa identità non gliel'ha tolta il capitalismo, ma la conoscenza. Non Bill Gates ma la seconda legge della termodinamica.

Cosa a cui tra l'altro era arrivato già Giacomo Leopardi per intuizione, scrivendo migliaia di pagine il cui senso è sintetizzato dal pensiero «tutto è nulla, solido nulla», meno male che la Oates non l'ha letto, sennò sarebbe un mistico pure Giacomo.

Insomma, l'unica cosa visionaria di questo saggio della Oates sugli scrittori visionari è proprio la Oates.

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