Cultura e Spettacoli

"L'antico Egitto ci ha insegnato a essere moderni"

L'autore di "Nefertiti. La regina del sole" spiega la vita ai tempi dei faraoni

"L'antico Egitto ci ha insegnato a essere moderni"

I romanzi sull'Egitto antico sono di moda sin dal tempo di Sinuhe l'egiziano. Però in questi mesi sono presenti nelle librerie un buon numero di romanzi a tema, a partire da Nefertiti. La regina del sole (Tre60) di Christian Jacq o L'ultimo faraone (Longanesi) di Wilbur Smith o ancora il più thrilleristico Il segreto di Osiride (Longanesi) di Clive Cussler. Del fascino dell'ambientazione sotto le piramidi abbiamo parlato proprio con Christian Jacq il quale, egittologo e scrittore a colpi di faraoni e misteri, ha venduto milioni di copie.

Professor Jacq, saggi, romanzi storici, musei sempre pieni. Come mai l'Egitto antico continua ad affascinarci così tanto?

«L'Egitto dei faraoni può essere considerato la madre di tutte le civiltà occidentali, un modello che ha creato una visione del mondo che lega le leggi del cosmo, la natura e i governi degli uomini secondo un principio che si applica a tutti gli ambiti, spirituali o sociali. Questo principio si chiama Maât. Maât, è la rettitudine, l'armonia, il timone delle navi, il basamento delle statue. Praticamente Maât ritorna a combattere l'ingiustizia, la menzogna, la violenza e il fanatismo. Per tre millenni l'Egitto faraonico ha saputo incarnare questo ideale, specialmente nell'architettura e nella scultura, arti che toccano le persone di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Ecco perché l'Egitto faraonico è portatore di valori eterni e fondamentali che continuano ad appassionarci. Benché sia scomparso, dal punto di vista storico, i suoi valori rimangono e potranno ispirarci anche per il nostro avvenire».

Quali sono i misteri della civiltà egizia che non abbiamo ancora scoperto?

«Sono molti i misteri che permangono. Restano numerosi monumenti nascosti sotto le sabbie e un bel po' di testi da tradurre e interpretare. Per esempio, si continua a cercare la tomba dell'architetto Imhotep che ha creato l'architettura in pietra e costruito la piramide a gradoni di Saqqara; si cercano anche le tombe di alcuni faraoni e di alcune illustri regine, specialmente della XVIII dinastia. Tutte le tecnologie utilizzate dagli egiziani per edificare i loro monumenti eterni, come la piramide di Giza, non sono stati ancora completamente messi in luce. E lo studio dei testi medici e astronomici ci promette grandi sorprese. Ricordiamoci anche delle materie economiche che ci rivelano una società animata da grande solidarietà anche senza l'uso della moneta, e l'universo dei riti e dei simboli. È di una ricchezza spirituale che noi fatichiamo a percepire. Noi leggiamo i geroglifici soltanto dal 1822, data della favolosa scoperta di Champollion che ci ha aperto il gran libro dei segreti dell'Egitto, una immensa documentazione promette grandi scoperte a più generazioni di studiosi».

Tre aspetti della vita comune degli antichi egizi che li rendono più moderni di quanto potremmo aspettarci?

«La grande uguaglianza tra l'uomo e la donna. Quest'ultima sceglieva quale uomo sposare, aveva l'accesso all'eredità e a quasi i tutti i ruoli sociali, come quello del medico o dell'imprenditore. E poi una sorta di ecologia pratica. Proteggevano gli animali e il territorio. E un sistema giuridico molto avanzato e armonioso».

E invece tre cose che li rendono molto diversi da noi?

«In primo luogo l'assenza di fanatismo religioso. Nell'Egitto antico non c'erano dogmi né credenze assolute né verità definitive. Nessuno ammazzava qualcun altro in nome di Dio. Non c'era una religione rivelata, ma una spiritualità diffusa. Gli antichi egizi non mettevano l'uomo al vertice della creazione e non lo considerano come il predatore supremo con il diritto di distruggere tutte le altre creature. Ed erano più rigidi di noi verso l'avidità e la menzogna».

Nel libro appena pubblicato in Italia lei racconta della regina Nefertiti. Quale era il ruolo delle donne alle corti del faraone? E, nello specifico, quale il ruolo di Nefertiti nella «rivoluzione» religiosa, quasi monoteista, di Akhenaton?

«Il Faraone non era propriamente un individuo, quanto piuttosto una coppia composta dal Re e dalla Grande sposa reale. Non si trattava di una first lady, ma di qualcosa di più. Soprattutto quando i Re erano all'estero per ragioni politiche o militari. In quel caso di fatto governava la regina. La casa della regina era una istituzione veramente importante e governava moltissime istituzioni. Nefertiti quindi giocò un ruolo decisivo in quella rivoluzione. Era il simbolo vivente dell'armonia e della luce del nuovo dio Aton».

Si è a lungo discusso se il busto di Nefertiti al museo egizio di Berlino sia vero o falso... Lei che ne pensa?

«Ritrovato nell'atelier di uno scultore, è stato oggetto di moltissime controversie. Io l'ho studiato bene e sono convinto che sia autentico.

Lei scrive romanzi storici, ma è anche uno studioso. Come fissa il limite tra realtà e fantasia nei libri?

«Per quanto riguarda i miei romanzi il rapporto fra egittologia e finzione è molto stretto. Dentro di me il romanziere e l'egittologo si parlano. Nel caso di Nefertiti, anche sulla modalità della sua morte, le cui cause non sono chiare, cerco di dare una risposta, se non vera, verosimile e probabile».

Un romanzo può davvero aiutarci a conoscere una civiltà del passato?

«Se è ben documentato, è senza dubbio il mezzo migliore per raggiungere il grande pubblico».

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