Cultura e Spettacoli

L'attore narciso e insicuro come i "drogati" da Social

La Mostra di Venezia si apre con la parabola di un interprete in cerca di continue conferme personali e professionali. Il regista Iñárritu cattura lo spirito della nostra epoca

L'attore narciso e insicuro come i "drogati" da Social

dal nostro inviato a Venezia

C'è un grande specchio che incombe sulla scena di Birdman (o le imprevedibili virtù dell'ignoranza) , la commedia noir del messicano Alejandro González Iñárritu ( 21 grammi , Babel ) che ieri ha inaugurato ufficialmente la 71ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia ed è stato applaudito sia dalla stampa specializzata sia dalla platea di divi e autorità, tra le quali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che hanno riempito la Sala Grande del Palazzo del cinema.

È vero, siamo spesso nel camerino di Riggan Thomson, un attore di cinema in declino alla disperata ricerca di una seconda vita a teatro, di nuova fama e popolarità. «Ma - rimarca Iñárritu esplicitando il significato del film - l'attore in lotta con il proprio ego è un emblema, un simbolo di ciò che tutti noi siamo, affamati di ammirazione e riconoscibilità». Lo specchio dunque è lo strumento di questo narcisismo, di questa ipertrofia dell'ego che si riflette in tanti modi nell'epoca del selfie e della compulsività da social network. Ma salvo questa certezza e la scelta personale del regista di farne a meno («da cinquant'anni vivo senza social network e, sono dubbioso sul fatto che favoriscano riflessione e profondità, preferisco evitarmi una nuova dipendenza»), il suo è un film «più di domande che di risposte». Un film pieno di spunti critici, oltre la riflessione sulle vite fragili dei troppi attori disperati. «Sì, avendo interpretato questo ruolo ho riflettuto molto sulla morte di Seymour Hoffman e soprattutto di Robin Williams», ha ammesso il protagonista Michael Keaton. «E ho concluso che è fondamentale tenere separati il più possibile professione e vita privata, non permettendo al lavoro che siamo fortunati di fare di invaderla».

Girato con la tecnica del piano sequenza, dal punto di vista del linguaggio Birdman è una continua sovrapposizione tra cinema e realtà, tra realtà e surrealtà, tra cinema e teatro, tra cinema e cinema. Il protagonista è un attore in crisi che dialoga spesso e malvolentieri con il proprio alter ego, un uccello piumato che vorrebbe dissuaderlo dal tentativo di riciclarsi a Broadway mettendo in scena un testo di Raymond Carver ( Di cosa parliamo quando parliamo d'amore ) e riportarlo ai fasti del passato quando interpretava il supereroe Birdman. Ma nella carriera reale Keaton è stato davvero Batman, pioniere dei supereroi al cinema. E così, mentre lo si segue in tutte le paranoie da palcoscenico, è automatico sovrapporre il protagonista del film al vero Keaton. Tanto più che, con tocco surreale, Iñárritu gli fa dono del potere di telecinesi. Fuori dal copione, invece, anche Edward Norton, spalla nella pièce teatrale, e Emma Stone, figlia del personaggio di Keaton, in passato hanno recitato in film di supereroi (protagonista dell' Incredibile Hulk lui, amante dell' Uomo ragno lei, al fianco di Andrew Garfield, suo reale fidanzato). Così tutta la storia si può leggere anche come una sapida critica alla Hollywood dei fumetti. Infine, ennesima sovrapposizione, la colonna sonora è quasi per intero un lungo assolo del batterista Antonio Sanchez («la batteria mi ha aiutato a sintonizzarmi con il ritmo della pellicola«) che, però, un paio di volte spunta direttamente in scena.

Insomma, il piano sequenza è unico ma i piani di lettura sono molteplici. Perché, se è vero che storie di attori in crisi ne abbiamo viste tante, qui Iñárritu vuol dirci che, in un modo o nell'altro, siamo tutti succubi della dittatura dell'ego. «Hai avuto ciò che desideravi dalla vita?», è la domanda tratta dal testo di Carver che fa da esergo al film. «Sì, volevo solo essere amato», è la risposta. Ma in realtà, «tu hai sempre scambiato l'amore per ammirazione», lo gela la compagna. Perciò tutti i rapporti e gli affetti del grande egocentrico poggiano su fondamenta friabili, rivelandosi instabili ed equivoci. A cominciare da quello con la figlia che gli sbatte in faccia il suo «non contare nulla», almeno fino a quando non sei riconosciuto sui social network e su YouTube... «Se il cinema è solo un mucchio di verità raccontato attraverso le bugie - spiega ancora Iñárritu - oppure un mucchio di bugie raccontato con molte verità, forse, senza battere ciglio, questo film è la mia battaglia contro l'ego».

Una battaglia combattuta in modo stimolante anche se non completamente risolta.

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