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L'eclettico Dargen D'Amico: "La bolla rap scoppierà lasciando solo artisti veri"

L'estroso autore pubblica il disco "D'io" e si prepara (forse) alla tv: "Un brano per Milano, città delle contraddizioni"

L'eclettico Dargen D'Amico: "La bolla rap scoppierà lasciando solo artisti veri"

Dargen D'Amico è un mondo a parte. Rapper da lontano. Pop nell'anima. E giocoliere con le parole fino in fondo. Trentaquattro anni a vita perché ha timidamente debuttato quindici anni fa e già allora dimostrava la stessa maturità di oggi, disincantato e ironico e pungente. Si nasconde dietro gli occhiali a specchio, ovviamente sempre di colori diversi, giusto perché così è più facile guardare senza essere guardato e godersi l'ozio dell'osservatore che immagazzina immagini nel fienile dell'animo. E poi le mette in rima. Ieri ha parlato del suo nuovo disco che arriva dopo Vivere aiuta a non morire e si intitola D'io perché «mi sembra il modo giusto per riassumere canzoni che, dopo cinque o sei dischi rivolti all'esterno, guardano dentro di me con una scrittura tra il personale e l'universale».

Non lo scoprirete mai, questo ragazzo ironico per timidezza, in mezzo al vippume oppure impegnato ad agitare la mano per chiedere un posto nei posti che contano. È fatto così sin da quando al Parini di Milano ha incontrato Il Guercio ossia Guè Pequeno e con Jake La Furia forma il trio delle Sacre Scuole, sostanzialmente una versione primitiva dei Club Dogo: «E non è detto che non ci si riunisca, nella vita non si può mai dire», ha spiegato ieri ovviamente blindato dietro ai suoi occhiali a specchio. Il nuovo disco inizia con una canzone dal titolo ponderoso ( La mia generazione ) che però per lui è la più «cazzara» perché «chi sono io per fare una canzone manifesto di una generazione: in realtà parlo di una generazione che potrebbe essere tutte le generazioni e forse anche Andreotti o Papa Bergoglio, quando erano in una certa parte della loro vita, avranno utilizzato le stesse parole o gli stessi pensieri».

Però forse il passaggio più bello di questi tredici brani è Modigliani, che non a caso è quello che gli piace di più perché nei testi lo rappresenta fino in fondo e difatti lo spiega così: «Modigliani dipinge, non è molto bravo, è di salute cagionevole. Beve molto così va a Parigi, s'innamora felicemente ma muore. Dopodiché diventa molto bravo a dipingere». Una sorta di paradigma della fama postuma. «Anni fa nei miei dj set usavo spesso Bella d'estate di Mango e tutti pensavano fosse una sorta di revival trash. Dopo che è mancato, mi è capitato di usare un suo brano sempre nei miei dj set e invece tutti lo hanno ascoltato con attenzione sacrale a dimostrazione che ogni artista dovrebbe morire temporaneamente per poi resuscitare e godersi quella celebrazione mancata durante la carriera».

Insomma, Dargen D'Amico, che in realtà si chiama Jacopo, ama Milano così tanto da scrivere il primo singolo Amo Milano («È la città delle contraddizioni, piace perché è produttiva ma non piace per lo stesso motivo») ed è stato più influenzato da Battiato e Jannacci che da Notorius B.I.G., è uno di quegli artisti che hanno un flow innato e declinabile in ogni modo, anche pop.

Difatti «quest'anno avevo pensato di candidarmi al Festival di Sanremo, anche se poi non è stato possibile farlo per ragioni logistiche. Perché l'ho fatto? Perché credevo di avere due brani “papabili” e poi perché Sanremo ha un fascino enorme: basta sfogliare le vecchie edizioni per scoprire le fotocopie della musica di quel tempo». Come fotocopia di rapper, Dargen D'Amico funziona male. Non esagera mai, salvo che con i calembour. E non è volgare visto che, come fa notare, «io ho scelto di non dire parolacce ma su iTunes le mie canzoni sono accompagnate dal solito avviso riservato alla musica rap».

Per farla breve, è un rapper a se stante, uno dei pochi che possa dire senza soffire troppo che «il rap italiano è una bolla e, quando scoppierà, rimarranno soltanto gli artisti veri. Finora è stato utile perché ha risvegliato una scena musicale che si era addormentata». Nel frattempo valuta se partecipare a un talent show, come gli è stato chiesto. E continua a «lavorare con il codice binario: quello che ho fatto in un disco, non lo farò in quello dopo». E non lo rifarà neppure in quello successivo.

Come tutto nel mondo a parte di Dargen D'Amico, anche le regole più ferree subiscono le eccezioni più duttili.

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