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Il liberalismo? Senza Gesù non ci sarebbe mai stato

L'idea che il potere politico non è il padrone della coscienza dell'uomo è alla base del nuovo saggio di Dario Antiseri

Il liberalismo? Senza Gesù non ci sarebbe mai stato

In una società (quella contemporanea) nella quale si parla troppo spesso di «religione» e «intolleranza» in termini assai generici, la nuova opera di Dario Antiseri ha un merito specifico: richiamare l'attenzione su taluni caratteri propri della tradizione giudaico-cristiana e sul rapporto che essa intrattiene con l'Europa.

Ne L'invenzione cristiana della laicità (Rubbettino, pagg. 120, euro 12) si insiste con forza, infatti, sul legame tra il cristianesimo e l'orizzonte pluralista dell'Occidente. In un certo senso, la tesi è che senza Gesù Cristo difficilmente avremmo avuto Karl Popper e Friedrich von Hayek, dato che «con il messaggio cristiano ha fatto irruzione nella storia degli uomini l'idea che il potere politico non è il padrone della coscienza degli individui». In Grecia o a Roma, per non parlare dei grandi imperi che hanno preceduto le civiltà classiche, non era possibile distinguere tra sfera politica e dimensione religiosa; la fede cristiana, invece, s'indirizza al singolo, relativizza gli ordini del potere, distrugge quello che Guglielmo Ferrero chiamava lo «spirito faraonico», rende possibile e affascinante anche una vita vissuta lontano dalla propria comunità d'origine.

Antiseri è un cristiano e un liberale, e qui come in altri scritti egli sottolinea i meriti di quel filone di studiosi (da Lord Acton a Rosmini, da Sturzo a Roepke ecc.) che hanno difeso la società libera proprio perché hanno visto in essa una condizione fondamentale per la piena espressione della loro fede cristiana. Molto interessanti sono anche le pagine su Alessandro Manzoni, nelle quali non solo si sottolinea il legame dello scrittore con Rosmini, ma anche il suo essere stato avverso tanto al dogmatismo ottuso quanto all'anticlericalismo volterriano.

Per Antiseri, non è un accidente della storia quello che ha fatto sì che il pensiero liberale si sia affermato proprio all'interno di un'Europa impregnata di valori cristiani. E nel difendere questa sua visione cattolica e laica, pascaliana e popperiana, egli chiama a raccolta anche quegli autori contemporanei che - come lui - hanno promosso una certa idea di individuo libero, responsabile, critico, aperto al mistero. E così nel volume si ricordano i contributi intellettuali di studiosi come Philippe Nemo, Robert Sirico e Jacques Garello.

Sottolineando il rapporto tra cristianesimo e modernità (anche grazie alla lezione di Max Scheler sul processo di demitizzazione del mondo legato alla rivelazione biblica), il volume aiuta ad accantonare l'equazione - assai frequente in questi tempi dominati dai dibattiti sull'Islam - tra religione e fondamentalismo. D'altra parte, parlare di fede in termini astratti non ha molto senso, e non è un caso se ben pochi, nel mondo, si sentono minacciati da gruppi di cristiani integralisti disposti a colpire vittime innocenti...

Le religioni sono tra loro diverse e il contenuto stesso delle credenze non è lo stesso: non si può allora mettere sullo stesso piano le fedi che hanno costruito l'Europa e una religione come quella islamica, basata sul rapporto di sottomissione, su un'interpretazione letterale di testi dettati da Dio stesso e su una ricorrente incapacità (specialmente negli ultimi secoli) a coniugare l'esigenza di ragionare e la necessità di credere. Nel sottolineare il carattere laico del cristianesimo, il filosofo ci spinge insomma a considerare anche il carattere cristiano della laicità occidentale.

Non è neppure un caso che in questo suo nuovo libro Antiseri riprenda molti temi della sua lunga battaglia civile, a partire dalla questione della libertà di educazione. Ai suoi occhi non ci può essere società liberale senza proprietà privata e mercato (e così egli sta con Luigi Einaudi contro Benedetto Croce), ma oltre a ciò è fondamentale che le istituzioni deputate a educare le giovani generazioni siano autonome, in concorrenza tra loro, pubbliche e private, collocate su un piano di parità. In un certo senso, l'uscita dallo statalismo educativo che domina larga parte dell'Europa è una questione ancora più urgente di quella del debito pubblico e pensionistico, dato che senza una vera libertà di scuola difficilmente potremo avere cittadini critici e pronti ad accogliere troppe verità oggi rigettate.

Ancorato alla tradizione liberale, Antiseri si dichiara favorevole a uno Stato forte (in quanto autorevole), ma per niente affaccendato in mille cose. Uno Stato, insomma, che sappia fare il proprio dovere quando è necessario, ma non intervenga in ambiti e settori che devono essere lasciati alla libera iniziativa. Nel difendere questa prospettiva egli evoca Walter Eucken, la scuola di Friburgo e gli ordoliberali, interpreti di una visione assai moderata del liberalismo che, se nega allo Stato il diritto di controllare il processo economico, pure difende alcuni tipi di pianificazione dall'alto: specie in ambito giuridico.

Chi è affezionato alla lezione di Bruno Leoni sul nesso tra legislazione e pianificazione può nutrire più di una perplessità, ma è pur vero che viviamo in tempi nei quali anche un liberalismo moderato può essere un obiettivo troppo ambizioso e irrealistico.

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