Cultura e Spettacoli

L'infedele alla linea Storia di Ferretti dal rock alla Chiesa

La politica, la ribellione, il punk, la malattia e la conversione. Vita di un musicista (e di un uomo) allergico ai luoghi comuni

Giovanni Lindo Ferretti ex leader dei CCCP, dei Csi, dei Prg, è l'indocilità fatta persona. E per la legge del contrappasso, ora alleva, doma e addestra cavalli maremmani. Canta il meno possibile, quanto serve per assicurarsi la sopravvivenza: «cantare non è una professione. Sono altri i mestieri, quello del fornaio per esempio: li sì che ci metti testa e mani». Non è una boutade. Questo ed altro spiega in Fedele alla linea, il documentario del regista Germano Maccioni su Ferretti, giovedì scorso in anteprima nazionale al Bergamo Film Meeting (nelle sale a fine aprile). L'ultimo Ferretti preferisce occuparsi di spettacoli equestri, allestiti con la Corte di Nasseta: una libera associazione di uomini, cavalli e montagne sull'Appennino Reggiano. Proprio su quelle cime (Cerreto Alpi) dove l'artista si è rintanato dopo successi, malattie e lo sgretolarsi di un'ideologia. Dopo un percorso controverso che fra il 14 e i 40 anni lo ha reso un estraneo alla persona più cara, la madre: «Per tutti quegli anni non ci guardammo mai negli occhi. Ero la sua delusione totale, il suo dolore. Leggevo nello sguardo il dispiacere assoluto. Rappresentavo un modello di vita che non poteva accettare. Fino a quando, un giorno, entrai in cucina, iniziò a parlarmi, mi disse che si era resa conto che non ero poi così disgraziato come pensava. Rimasi turbato da questa confessione. Il giorno dopo, l'avvicinai, sorrisi e la guardai negli occhi. Vedere mamma che chiede scusa… beh, fa un certo effetto. Non ne abbiamo mai più parlato. La cosa era risolta».

Ferretti è un inclassificabile. Ha militato in Lotta Continua, ha chiamato la sua prima band con un acronimo (CCCP) che sta per Urss. Quindi la sterzata, nel 2006 vota per il centrodestra, sostiene la lista antiabortista di Giuliano Ferrara, non più filopalestinese abbraccia la causa israeliana. Si riconcilia con la religione, sfiora l'integralismo cattolico. Un percorso spiazzante, il suo, che ha scatenato opinioni contrastanti. C'è lo zoccolo duro dei Ferrettiani, presenti all'anteprima, ma c'è anche chi gli hanno girato le spalle.

Il documentario, ricco di immagini e interviste inedite, aiuta a fare chiarezza. Il focus è sugli amati cavalli, sul borgo di montagna e la casa millenaria di famiglia dove è tornato a vivere. «Sono stato allevato cattolico e felice. Poi con l'adolescenza ho scoperto la vita e il mondo», esordisce. Ex bravo ragazzo cresciuto in un istituto religioso, gira l'Europa, approda nella Berlino del Muro, incontra il chitarrista «Massimo Zamboni, anche lui desideroso di cambiare la vita». Fonda i CCCP, gruppo punk rock tra i più influenti degli anni Ottanta, con i quali firma inni come Io sto bene, Curami, Emilia Paranoica. Ma poi capisce «che il percorso sperimentato non era adatto a me, dava poca soddisfazione. Mi ero sempre scagliato contro famiglia e religione, intese come origine di tutti i mali, per poi concludere che molto male sta nella famiglia e religione, ma senza queste non si vive». Inizia una cammino di conversione testimoniato dai dischi successivi, firmati con Csi e Pgr (Per grazia ricevuta), fino agli ultimi impegni che lo vedono lavorare sui canti tradizionali e sacri.

Ferretti racconta con disincanto di «un tumore di 12 cm. Fu mia cognata a portarmi dal dottore. Nella mia vita ho avuto cinque malattie e una guarigione. La guarigione ha nome Mongolia. Vi arrivai passando da Mosca, da un mondo allo sfascio, dal disastro della politica all'esperienza di pastori. Ora mi piacerebbe morire avendo di nuovo animali intorno a me». Alla Corte di Nasseta «abbiamo scelto cavalli che hanno una brutta fama, indomabili, intrattabili. Con loro vogliamo fare un teatro di sudore, di polvere e carne.

Questo è l'unico modo per raccontare la storia».

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