Cultura e Spettacoli

L'odio-amore è una malattia trasmessa di madre in figlia

In «Costellazione familiare» espressionismo e stile rimandano a Gadda. E sullo sfondo domina il buco nero dell'eutanasia

L'odio-amore è una malattia trasmessa di madre in figlia

C'è chi legge Gadda, io leggo Rosa Matteucci. Il suo nuovo romanzo, Costellazione familiare (Adelphi, pagg. 167, euro 16)), mi verrebbe da definirlo il suo capolavoro se la parolona non temessi di averla spesa in altre occasioni: c'è che la scrittrice di Orvieto di libri molto belli ne ha scritti più di uno, magari distanziati da testi imbarazzanti o incomprensibili, ma uno scrittore va giudicato per le pagine migliori.

Non solo l'opera omnia, anche Costellazione familiare si giova di una potatura: chi non è interessato alla psicoterapia collettiva inventata dallo psicologo tedesco Bert Hellinger può tranquillamente saltare il primo capitolo e cominciare a leggere da pagina 28. Da lì comincia un crescendo che arriva fino alla morte del madre perché il romanzo più che famigliare è filiale, centrato su una genitrice anaffettiva eppure accudita e amata fino all'ultimo giorno. La famiglia, che sembra proprio la famiglia Matteucci anche perché lacerti compatibili con questa storia me li ricordo in altri romanzi (senz'altro in Tutta mio padre del 2010), è sullo sfondo: un casato decaduto, con un bisnonno senatore del Regno ma un presente di semi-indigenza, con una sorella lontana, appena evocata, e un padre «che non aveva mai avuto voglia di lavorare, e non ci aveva mai nemmeno provato. Uno che non era stato capace di mantenere con decoro la propria famiglia. Ci gettò sul lastrico inseguendo la Fortuna al lotto». Un personaggio che dà sui nervi, viene voglia di prenderlo a sberle questo giocatore pluriprotestato, bugiardo matricolato solito scommettere sui cavalli la pensione necessaria a pagare l'affitto e quindi perennemente e giustamente inseguito dagli ufficiali giudiziari. La sua morte sull'Autosole fa respirare l'economia domestica e l'economia romanzesca, lasciando tutto il campo a figlia e madre.

Che poi la scomparsa non è auspicata solo dal lettore ma addirittura dalla figlia: «Fin dall'anno in cui Margaret Thatcher divenne primo ministro cominciai a pregare che i miei genitori morissero in un incidente stradale». Si capisce bene che non è intenzione dell'autrice far fare bella figura alla sua protagonista e suo ego almeno all'apparenza per niente alter: anche questo dimostra il valore del libro, la sua distanza dal compiacente genere biografico. È difficile innamorarsi di un'inetta abbrutita dai viaggi verso la madre ospedalizzata: «Nelle carrozze ferroviarie i capelli e le vesti s'impestano di indefinibili afrori animaleschi. A forza di toccare maniglie lerce sono infestata da mini verruche sulle dita». Disgustosi i treni, disgustosi gli ospedali, disgustosa la malattia, disgustosa la vita nella casa di campagna (la casa di città ossia di Orvieto sarà finita all'asta)... I casolari umbri sono appetiti dai vecchi ricchi di mezzo mondo eppure nel libro si parla di «quel cesso di romitorio» disperso in non meglio identificate «lande della malora», disameno domicilio con problemi di riscaldamento nonché infestato dalle cimici e dai cani (disgustosi anche i cani, onnipresenti, in Costellazione familiare). Se non fosse per lo stile, per la scrittura perfetta, non si potrebbe tollerare una casa così inospitale dove si consumano cibi così repellenti: «Buttai nell'acqua bollente una manciata di mezze penne. Dalla confezione aperta si era levato in volo uno sciame di farfalline, da me identificate come piccole fate domestiche. Una volta scodellata la pasta, anche l'osservatore meno attento avrebbe potuto discernere delicate larve color rosa antico, da me esiliate sui bordi del piatto».

Perché mai all'inizio ho accostato i nomi della Matteucci e di Gadda? Per il comune espressionismo: la deformazione della realtà, la parola colta trascinata in basso e la parola dialettale portata in alto, i riferimenti aulici (qui le Elegie duinesi di Rilke) mescolati a dettagli volgari... Per verificare i rapporti fra i due ho riaperto gli Accoppiamenti giudiziosi e ho affrontato un racconto di argomento analogo, La mamma, e l'ho scoperto quasi illeggibile: in Gadda la baroccaggine della forma è stremante, e poi distrae dal contenuto, anzi lo distrugge. Sono confronti spericolati, mi rendo conto, ma qui e ora, Italia 2016, preferisco Rosa Matteucci che è una gaddiana moderata capace di trovare il giusto equilibrio tra narrazione e parola. Oltre che una miracolosa misura nella gestione di tragico e comico. Altrimenti io che sono un ragazzo sensibile non lo avrei sopportato il tema della vecchiaia, «strega orrenda», e tantomeno quello dell'eutanasia. Richiesta: «Se le volevo bene, perché non l'aiutavo ad andarsene? Era l'estremo tributo di amore filiale che mi veniva chiesto. Lei, ad esempio, lo aveva fatto per il cane Pipìa, nel maggio del 1992. Mia madre voleva che chiamassi un veterinario anche per lei». E non concessa: «Nessuno ha il diritto di togliere la vita a un altro, ci pensa il buon Dio. Non potevo proprio aiutarla a realizzare il piano. Mia madre era furiosa, tosto mi disconobbe».

Come l'amore lo stile vince tutto, e come lo Spirito Santo lava ciò che è sordido e sana ciò che sanguina.

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