Cultura e Spettacoli

Van De Sfroos: "L'orchestra sinfonica veste i miei brani con un costume nuovo"

Il cantautore del "folk laghée" si reinventa con Synfuniia: "Ma presto torno alle mie radici"

Van De Sfroos: "L'orchestra sinfonica veste i miei brani con un costume nuovo"

Inutile negarlo: Davide Van De Sfroos è un artista tutto d'un pezzo. A cinquant'anni ormai riconosce il profumo dei locali vuoti e la puzza del successo, si è esibito al Festival di Sanremo (quarto posto) e nella più sperduta festa di paese (sempre un trionfo) senza perdere mai di vista la propria ragione sociale: il folk laghée, cantato con il dialetto delle province di Como e Lecco ma comprensibile all'universo mondo. Ora che torna in scena con un album molto personale (Synfuniia, i suoi successi da Yanez a Ninna nanna del contrabbandiere riarrangiati con l'orchestra bulgara della radio di Sofia), inizia un prezioso tour «in store» (Como, Verona, Genova le prossime date) e qui racconta come si fa a restare fedeli a se stesso senza essere traditi dal pubblico.

Allora, caro Van De Sfroos, perché registrare un disco addirittura con l'orchestra sinfonica?

«Mi sono chiesto tante volte perché. Ma non c'è. Semplicemente, è capitato».

Ma non può essere stata una decisione così improvvisa.

«Sì, qualche volta in passato ne avevo parlato, ma era come parlare del sesso degli angeli. Invece è successo. Merito senza dubbio del maestro Vito Lo Re, che si è presentato come mio fan e mi ha convinto che tanti miei brani erano inconsapevolmente nati per essere orchestrati. Un giorno in un teatro di Milano abbiamo fatto una prova su due brani e gli ho dato via libera».

Poi?

«Ho capito che il maestro non era un esagitatore del mio repertorio, ma l'ha rispettato inserendo qui e là qualche elemento destabilizzante senza avere quell'effetto bandistico che non mi sarebbe piaciuto».

Risultato?

«Cantandoci sopra, ho sentito la mia voce dilatarsi e raggiungere livelli che non sapevo di poter raggiungere. E per non turbare questa magia, ho anche rinunciato a suonare la mia chitarra».

Alla fine l'effetto è molto cinematografico. C'è Morricone, ci sono le grandi colonne sonore della storia del cinema.

«In effetti questo disco è la colonna sonora di Van De Sfroos.

Ad esempio Yanez all'inizio richiama le atmosfere e i suoni de Il pirata dei Caraibi, e il Reduce e il Dono del vento hanno preso una parabola che si regge da sola».

Alla fine qual è la lezione di questo esperimento?

«Che è sempre una bella cosa far fare alle proprie canzoni un giro con un costume diverso».

Adesso porterà tutto dal vivo. Il concerto del 30 gennaio all'Arcimboldi di Milano è esaurito e ne è stato annunciato un altro.

«E sembra che anche le vendite di questi biglietti siano assai positive. Ma è solo un modo di celebrare questo disco, non ci saranno altri concerti».

Perché?

«Perché da febbraio torno alle mie origini, torno alla casa del folk».

Come?

«Quello che sto andando a cercare sono sonorità molto simili ai primi Mumford & Sons, e lo sto facendo con un giovane gruppo di Lecco che fa concerti con il nome di Shiver».

La ripartenza di Davide Van De Sfroos, fenomeno unico in Italia.

«Dal punto di vista personale, non è sempre facile restare in equilibrio. Ho sempre evitato di accettare la bonaccia. Ma capisco le rockstar che giovanissime si sono tolte di mezzo. E capisco Tiziano Ferro che ha attraversato una crisi: quando inizi questo lavoro, nessuno ti spiega il lato oscuro della Luna».

Mai pensato di mollare tutto?

«Lo spettro c'è sempre. Ma io mi metto sempre in discussione, anche quando ho tanta gente sotto il palco o sono in testa alle classifiche. In fondo, ti realizzi davvero soltanto quando sei in pace con te stesso».

A proposito: che effetto fa vedere che le sue canzoni restano e invece le sue presunte affiliazioni politiche no?

«È stato solo un po' di fumo che ha fatto comodo a qualcuno.

Ma poi è finito, come diciamo noi, nella gabbia dei canarini».

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