Cultura e Spettacoli

L'ultima notte di Roth (e il suo libro inedito)

Nel nuovo 'O Magazine la vera storia della morte dello scrittore. Che decise di sospendere le cure...

L'ultima notte di Roth (e il suo libro inedito)

Nel 2012 lo scrittore Blake Bailey, specializzato in biografie, bussa alla porta di Philip Roth. La partenza è difficile. Bailey afferma di amare, tra i libri di Roth, Goodbye Columbus. L'autore dice di detestarlo e di volerne mandare al macero tutte le copie. Bailey cerca di far salire le sue azioni, comunicando il suo disappunto verso Shylock. Che Roth dichiara di amare moltissimo. Per essere arruolato come biografo ufficiale, Bailey deve superare altre prove, tra le quali un questionario per valutare la sua competenza. Poi Roth scopre una carta dolorosa: «Mi rimane solo un anno, probabilmente. La aiuterò per questo periodo, poi le toccherà cavarsela da solo». Roth soffre da anni di cuore.

Gli ultimi giorni del grande scrittore americano sono raccontati da Nicola Manuppelli nel numero in uscita di 'O Magazine. Fonti sono lo stesso Bailey e Benjamin Taylor, uno dei migliori amici di Roth.

La casa newyorchese era molto frequentata, anche da molte ex fiamme, alla faccia della misoginia sempre rimproverata a Roth. A chi chiedeva informazioni sul prossimo libro, Roth rispondeva di essersi ritirato sul serio. «Ho iniziato a rileggere tutti i miei libri a ritroso, partendo dall'ultimo (Nemesi, 2010), e quando sono arrivato a Portnoy ho smesso di leggere. Non mi interessavano più quelli che restavano. Ho capito che avevo detto tutto quello che c'era da dire, non avevo più altro da aggiungere e avrei potuto fare solo disastri». Ora rilegge i libri che aveva amato da ragazzo: Turgenev, Hemingway e altri classici. Ma anche Truman Capote, Salinger, Charles Jackson, Saul Bellow, John Cheever e Wolfe (non è dato capire se sia Tom o Thomas). Tra i contemporanei, sceglie Louise Erdrich.

Roth aveva assunto un cuoco che gli preparasse piatti saporiti ma sani. Zuppe soprattutto. E davanti a una zuppa, Roth nega che il romanzo sia morto. Sono morti i lettori. I giovani sono catturati solo dallo schermo, prima quello della televisione, poi quello del computer, infine quello dello smartphone e dell'iPad (anche Roth ne ha uno). Lo scrittore si sta congedando dalla vita, non a caso cita Everyman come uno dei suoi migliori libri. Un romanzo amarissimo e semplicissimo in cui un morto qualunque racconta, dalla tomba, la sua vita qualunque. Si è congedato dalla sua opera. Si è congedato dalla scrittura. Al biografo dice: «Ormai non sono più responsabile della mia vita. La vita è come quei trampolini da cui ti tuffi. Si è continuamente principianti, come nella scrittura».

Nel 2018, a metà maggio, il cuore comincia a fare le bizze. Un'aritmia. Chiama il 911 e viene trasportato d'urgenza all'ospedale. La cosa è molto più seria di quanto sembrasse ai primi soccorritori. I medici gli dicono che dovrà subire un piccolo intervento. Ma la situazione non migliora. Il 20 maggio Roth decide di aver lottato anche troppo a lungo. Si arrende, inutile accanirsi, chiede le cure palliative e resta in attesa della inevitabile morte, che arriva il 22.

Spiega l'amico Benjamin Taylor: «È stata una sua scelta. Ha insistito perché non gli venissero più somministrati dopamina e lasix e a quel punto gli è stata applicata una flebo di morfina. Mi ha detto che la sera prima, la precedente a quella che lo avrebbe condotto alla morte, ha scoperto che non c'è nulla da temere». Sembra una scena di Patrimonio, dice ancora Roth, riferendosi al grande romanzo dedicato al declino fisico del padre. E muore come un Everyman, un uomo qualunque.

L'articolo qui riassunto per sommi capi aggiunge molti particolari inediti in Italia, ed è raccomandato agli estimatori (ma non solo) di Philip Roth. C'è qualcosa di stoico nel suo saluto al mondo e nel modo in cui ha scelto di morire. Ma si scopre anche un uomo con un forte senso dell'umorismo, a dispetto delle fotografie ufficiali che lo ritraggono sempre accigliato e serissimo. Ma attenzione: è proprio vero che Roth rinunciò alla scrittura? La risposta è sì, se parliamo di narrativa. La risposta è no, se parliamo di carte autobiografiche. Infatti Roth ha consegnato a Blake Bailey una «cronologia» della propria vita. Il dattiloscritto occupa oltre trecento pagine.

Ed è questa, forse, l'ultima opera del grande Philip Roth.

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