Cultura e Spettacoli

Macché sessismo Non leggere le scrittrici non è un reato

Eleonora BarbieriQ uesto è un articolo scritto da una donna. Forse Marco Bonassi non lo leggerà. C'è da offendersi? Ma per favore. Marco Bonassi è il direttore della libreria Feltrinelli di Bologna e lui, proprio lui, il custode di un tempio dell'intellighenzia di sinistra, ha osato sconfinare in un territorio più che scorretto, minatissimo: quello dell'uguaglianza letteraria dei sessi. In una intervista Repubblica (sì, a Repubblica, la tana del lupo del politically correct), in cui stilava una sua classifica di dieci titoli natalizi, alla domanda su come mai non ci fosse neanche un libro di una autrice, ha confessato candidamente: «Non ne leggo molte. E non volevo barare, né fare il politicamente corretto».Una scelta su cui, il giorno dopo, lo stesso Bonassi si è espresso così: «Sarò stato anche ingenuo, ma sono innocente». Perché, nel frattempo, è successo di tutto: accuse di «misoginia letteraria», scrittrici indignate, commenti su commenti che, su twitter, si sono raccolti intorno all'hashtag #LeMieScrittrici dove, per sostenere la causa della necessità di leggere libri scritti da donne, sono citate, tanto per dirne alcune, «Eula Biss, Leslie Jamison, Nell Zink»... Ma per sostenere che cosa, esattamente? Che cosa avrebbe detto di tanto sconvolgente il libraio bolognese? Non ha affermato di non mettere in vendita libri delle autrici, che sarebbe davvero assurdo, bensì, semplicemente, ha chiarito i suoi gusti: «Io leggo poca narrativa e le mie preferenze vanno ai saggi di filosofia e astrofisica. Se poi vogliamo parlare di letteratura, scelgo i classici russi e quelli della Mitteleuropa. Insomma, lì di donne ce n'è ben poche» si è difeso ieri, sempre con Repubblica. Per Mariapia Veladiano dovrebbe «cambiare mestiere», per Michela Murgia è come se avesse detto «non leggo ebrei e neri», per Grazia Verasani è addirittura «sconvolgente», un «maschilismo inorgoglito» che «fa male quando arriva da persone che lavorano nel mondo dei libri». Il che significa, in pratica, che «uno che lavora nel mondo dei libri» non possa avere preferenze; o, almeno, che non possa dichiararle (specialmente a Repubblica, e ancora di più se lavora alla Feltrinelli di Bologna). E significa, oltretutto, che i «libri scritti da donne» sono una categoria a parte, che non rientra in quella dei libri e basta e, quindi, non sarebbero nemmeno soggetti alle stesse regole (di mercato e di scelta) di quelli scritti da maschi. Supponiamo poi, per esempio, che Bonassi, meno «ingenuo», avesse detto: «Leggo soprattutto libri scritti da immigrati». Sarebbe stata discriminazione, verso tutti gli altri? No, sarebbe stata una espressione di grande apertura culturale..

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