Cultura e Spettacoli

Il maratoneta Covacich corre a perdifiato inseguendo lo spirito del tempo (perduto)

Fra monologo, saggio e romanzo, una riflessione su come stiamo cambiando

Il maratoneta Covacich corre a perdifiato inseguendo lo spirito del tempo (perduto)

In un romanzo del 2003, A perdifiato, Mauro Covacich raccontava degli sforzi attuati da un allenatore per trasformare una mezzofondista rumena in una maratoneta; un tema, quello della corsa, che torna in Di chi è questo cuore (La nave di Teseo, pagg. 246, euro 17), anche se stavolta lo sfondo non è l'Europa dell'Est, ma Roma, la città nella quale lo scrittore triestino vive da qualche anno, indeciso fra il melting pot del quartiere Esquilino e gli orizzonti razionalisti del Villaggio Olimpico.

L'attenzione per il corpo e la sua fragile meccanica è al centro del romanzo più recente che si apre con la diagnosi di un'aritmia cardiaca, una sentenza che in teoria obbligherebbe il paziente a smettere di allenarsi. Malattia suggestiva, quella delle aritmie del cuore, sul quale il poeta Attilio Bertolucci articolò nientemeno che una Poetica dell'Extrasistole. In realtà, anche se sa benissimo che rischia di svenire sulla banchina del Tevere per una sincope sempre in agguato, il nostro protagonista si ostina a macinare chilometri sulla pista ciclabile e tutt'al più, per fare contento il medico, cancella l'iscrizione a una gara particolarmente impegnativa, lamentandosi anche per non essere riuscito ad avere indietro i soldi. Ignorata sul piano sportivo con un'alzata di spalle, la novità di possedere un cuore inaffidabile travolge però la vita morale e quella intellettuale, aprendo il campo a una sorta di perdita di sé nelle digressioni. L'elenco delle questioni che affliggono il podista, che naturalmente è lo stesso Covacich, non ha niente di organico e allude a un'esplosione esistenziale innescata dalla percezione della propria fragilità. Si va dal mutamento antropologico subito dai lavavetri al semaforo negli ultimi vent'anni (sul quale a suo tempo Edoardo Albinati scrisse uno dei suoi libri più belli) alla mania di restare giovani che spinge uomini e donne quasi vecchi a partecipare al «thanathlon», uno sport ovviamente inesistente che allude né più né meno che alla morte. L'anziana madre che si iscrive a facebook per riallacciare i contatti con una fidanzata del figlio, un conoscente diventato padre a cinquant'anni e molto calato nella parte, il criceto che un'amica lascia una notte sul terrazzo mentre infuria il temporale diventano altrettante occasioni per effettuare dei sondaggi sotto la crosta della vita contemporanea, alla ricerca di un senso che continua a sfuggire. Seguiamo la quotidianità di uno scrittore abbastanza noto da essere invitato alle tavole rotonde e abbastanza autorevole da scrivere sui giornali come se egli nuotasse nell'abisso; finché la spirale della cattiva infinità non partorisce un greve spettro, un corpulento scassinatore che entra nell'appartamento dell'autore quando vuole, fuma sigarette senza chiedere il permesso e passando un braccio sulle spalle del cardiopatico gli fa capire che la sua scrittura e probabilmente la sua vita non vanno da nessuna parte.

Nato sotto la stella di Montaigne, l'uomo che a metà del Cinquecento inventò il genere camaleontico e oggi onnipresente del saggio, Di chi è questo cuore mescola vita privata e riflessione sociologica andando a caccia di quello che una volta, con magniloquenza, si chiamava lo «spirito del tempo».

Stendhal diceva che un romanzo è uno specchio trasportato in una strada affollata? Attraverso un monologo interiore-esteriore estenuante, labirintico e tragicamente privo di fondo, Covacich spinge lo specchio sotto i nostri occhi, per farci vedere cosa siamo diventati.

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