Cultura e Spettacoli

Maria Teresa d'Austria, l'imperatrice ora diventa una vera icona pop

Colta, determinata e prolifica. La sovrana viene celebrata in tutte le forme. Soprattutto a Trieste

Maria Teresa d'Austria, l'imperatrice ora diventa una vera icona pop

Maria Teresa? Più trendy di Sissi. L'imperatrice d'Austria, vissuta un secolo prima di Francesco Giuseppe, è diventata un'icona: c'è chi l'adotta per comunicare su WhatsApp, e chi ne indossa la T-shirt col ritratto e la firma autografa latina «Maria Theresia».

Il fatto è che, alla latitudine di Trieste, la vecchia imperatrice che ha fatto la città è una pop star. Anche chi non ne aveva mai sentito parlare deve ammirarne il ritratto florido e biondo che da mesi ricorre dappertutto: mostre e concerti, funzioni religiose, libri, conferenze, rassegne cinematografiche, architettoniche, urbanistiche, numismatiche, itinerari del gusto, gadget. Motivazione ufficiale: la celebrazione dei trecento anni dalla nascita, avvenuta a Vienna il 13 maggio 1717. Una donna al potere, capitana di lungo corso come pochissime, con i suoi quarant'anni di regno (dal 1740 al 1780) durante i quali Trieste venne trasformata, in un febbrile succedersi di abbattimenti e ricostruzioni, in città emporio per l'intera Europa centrale. Ponti, acquedotti, catasto, istruzione primaria obbligatoria, abolizione della tortura, riforma sanitaria, incremento demografico. Tutti gioielli dell'età teresiana, per i cultori del genere oggetto di citazioni obbligatorie. E ancor più i suoi follower triestini apprezzano la scelta di aprire la città alla convivenza proficua fra le diverse comunità, greca e croata, armena, svizzera, israelita. Solo l'iniziale antisemitismo e le responsabilità per l'inutile guerra dei sette anni con la Prussia le risparmiano l'aureola del politicamente corretto.

Nessuna meraviglia, dunque, se un sondaggio recente all'ombra di San Giusto segnala un impressionante 87 per cento di favorevoli a qualsiasi cosa si voglia organizzare per celebrarla. Compresa, massimo segno di onorificenza cittadina, l'erezione di una statua nel cuore del moderno centro da lei stessa fatto costruire, il famoso Borgo Teresiano, e forse addirittura l'intitolazione del Canal Grande, simbolo dell'identità urbanistica triestina. L'editoria fa la sua parte con la pubblicazione di un cimelio ottocentesco, la biografia di Ida von Düringsfeld (Maria Teresa, Semplice nel privato determinata sul trono, Mgs Press) dove lo scenario imperiale è tratteggiato nello stile di un Puppenspiel, un teatro di marionette, i cui personaggi si muovono con grazia fra banchetti e concertini casalinghi, salvo scuotersi allo scatenarsi di una qualche guerra. Perché di intrighi e conflitti Maria Teresa fu suo malgrado protagonista, a partire dalla rivalità viscerale nei confronti di Federico di Prussia, degno nemico, stratega e guerrafondaio, alle cui mosse militari lei si industriò di rispondere colpo su colpo, senza riuscire mai a riprendersi la Slesia perduta. Anche qui, però, conquistandosi l'ammirazione postuma di chi ne ha fatto un simbolo del tollerante spirito sovranazionale asburgico in contrapposizione a quello nazionalistico pangermanico.

Il fatto è che Maria Teresa fu tanto squisitamente femminile quanto involontariamente femminista e ricca di contraddizioni. Messa sul trono dalla famosa Prammatica Sanzione che la equiparava a un figlio maschio, per metà Giovanna d'Arco e per l'altra metà tenera innamorata del marito Francesco Stefano d'Asburgo-Lorena. Quest'ultimo destinato per sua insistenza agli onori del Sacro Romano Impero, ma nella vita privata alquanto superficiale, donnaiolo e refrattario sia alla politica che alla pesante condivisione degli affari di governo. Cattolicissima, al punto da frequentare la messa più volte al giorno e portare il lutto eterno dopo la scomparsa del marito, ma determinata a contrapporre, spesso con successo, una complicata rete di matrimoni dinastici alle campagne militari destinate a modesti aggiustamenti territoriali. Tanto devota nel privato quanto inflessibile nell'imporre la supremazia statale sulla chiesa e la laicità degli organi statali. Abbastanza vigorosa da saper conciliare la sua prorompente vocazione alla maternità (generò sedici figli e si sforzò di non trascurarne nessuno) con l'impegno per la sopravvivenza dell'Impero nella giungla delle trame politiche continentali. Metodica, tanto da portarsi il lavoro a letto sino alle prime ore del mattino, sorseggiando le sue leggendarie limonate ghiacciate. Addolorata dalle incomprensioni tra lei e il figlio Giuseppe, comunque destinato a succederle. Padrona di molte lingue, compreso l'italiano, ma abituata a rivolgersi in dialetto viennese agli abituali interlocutori. Immortalata nella celebre biografia che, negli anni trenta, Stefan Zweig dedicò alla figlia Maria Antonietta, a sua volta destinata al trono di Francia prima di finire sciaguratamente sulla ghigliottina. L'immagine di Maria Teresa che tenta inutilmente di iniziare la figlia alle sottigliezze della politica -senza comprendere che il proprio esempio di femminilità volitiva era di fatto inimitabile- appartiene alla leggenda letteraria.

E via, dunque con le celebrazioni, avviate già in aprile dal concerto della Musikkapelle viennese, con Massimiliamo Lacota, che rappresenta la Famiglia Imperiale in Italia, pendolare di lusso fra le due città. Così, se il fatidico 13 maggio nel Gloriette del castello di Schönbrunn si tiene un grande concerto commemorativo, Trieste inaugura al museo Sartorio una mostra sugli Abiti di corte nei ritratti del Settecento, celebra alla Cappella civica una messa «con rito antico, costumi tradizionali ed esposizione dei vessilli», apre a Palazzo Gopcevich una conferenza-concerto sulla musica mitteleuropea in età teresiana. E poi dibattiti su «Maria Teresa e i rapporti familiari», spettacoli nel cartellone di «Trieste Estate», un convegno internazionale sul commercio dell'epoca, un altro sulla tolleranza religiosa, e proiezione di tutti i film che hanno reso l'imperatrice famosa quasi quanto la mitica Sissi.

Fuori dall'icona patinata però, resta il suo congedo: sul letto di morte rifiuta il sonnifero che la «farebbe dormire», perché preferisce «incontrare Dio ad occhi aperti».

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