Cultura e Spettacoli

Matt Damon rimpicciolito non fa una gran figura

"Downsizing" di Alexander Payne inaugura la rassegna: una commedia interessante ma non del tutto convincente

Matt Damon rimpicciolito non fa una gran figura

Da Venezia

Anno nuovo, format vecchio. Ma non è una critica. Anzi. Anche per l'inaugurazione dell'edizione numero 74 della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica il suo direttore, Alberto Barbera, è riuscito a cucinare un piatto ricco di ingredienti adatto per quasi tutti i palati. Il segreto è il mix di glamour (il film d'apertura Downsizing di Alexander Payne con Matt Damon che da qui si spera possa spiccare il volo per gli Oscar come è successo, sempre da Venezia, con La La Land e prima Birdman, Gravity), presenze istituzionali, cinefilia e un pizzico di ingredienti a sorpresa rappresentato quest'anno dall'insolita scelta del «padrino» della serata inaugurale, l'attore Alessandro Borghi. Che si è presentato in un impeccabile smoking facendo un discorso molto sentito di ringraziamento al cinema come «lingua universale che parla a tutti». Parole condivise da Paolo Baratta, presidente della Biennale, che ha ringraziato il presidente Mattarella, lungamente applaudito dalla sala, per la sua presenza dando il via al festival tra straordinarie misure di sicurezza che hanno creato difficoltà di accesso agli invitati.

Tra gli applausi al cast presente, Matt Damon, Kristen Wiig e Hong Chau è partita la proiezione di Downsizing di Alexander Payne, il primo film con un tema fantascientifico del regista di Sideways e Paradiso amaro grazie ai quali ha vinto due Oscar per le sceneggiature. L'idea è infatti avveniristica e in qualche modo geniale. Nel film si immagina che due scienziati norvegesi abbiano scoperto come rimpicciolire (il titolo del film) le persone a una manciata di centimetri di altezza e rispondere così al problema della sovrappopolazione mondiale che sta portando il globo a una catastrofe ambientale epocale. Piano piano la nuova invenzione inizia a prendere piede anche perché, nelle comunità miniaturizzate, tutto costa molto meno. L'idea alletta i protagonisti del film, il signor Paul Safranek interpretato da Matt Damon e sua moglie (Kristen Wiig). I due si imbarcheranno in un'avventura che cambierà le loro vite per sempre.

In positivo o in negativo? Non sarebbe giusto svelare i colpi di scena di un film che parte in maniera strepitosa per poi un po' avvilupparsi in una trama più scontata ma qualcosa si può dire, usando le parole dello stesso Matt Damon: «Qualsiasi attore al mondo vorrebbe lavorare con Alexander Payne, io per lui avrei anche recitato l'elenco telefonico. Ma oltretutto questa storia è unica e originale e credo che i nostri personaggi siano degli strumenti potentissimi per creare empatia negli spettatori. In più è un film ottimista, forse il più ottimista tra quelli del regista. Alla fine di tutto c'è stato un senso nel nostro stare insieme sul set». Downsizing racconta la maturazione del personaggio interpretato da Matt Damon che, nel rimpicciolimento, scopre un altro mondo che, alla fine, si rivela uno specchio abbastanza fedele delle contraddizioni già presenti in quello dei cosiddetti «giganti», ossia noi. Sacche di povertà e problemi di immigrazione, anche se miniaturizzati, inclusi. Tanto che al regista è stata fatta la solita domanda politica su cosa diranno del film gli elettori di Trump: «Non ne ho la minima idea, abbiamo pensato a un film per tutti gli spettatori», ha tagliato corto il regista candidato all'Oscar anche con il suo film più recente, Nebraska.

Per l'immaginario, solo leggermente futuristico, il regista statunitense s'è affidato alle competenze di una scenografa italiana, Stefania Cella che sta ora lavorando sul set di Loro di Paolo Sorrentino su Berlusconi: «Sono stato fortunato a lavorare con questa piccola donna con tantissimi capelli e tantissime idee. Le ho solo chiesto se la sequenza del rimpicciolimento poteva somigliare a un grandissimo microonde», dice il regista che rivela anche di essere stato influenzato da una certa letteratura russa nel suo lavoro, soprattutto nell'uso dell'ironia che permea trasversalmente tutto il film anche nei momenti più drammatici: «Sono un ammiratore in particolare di Cechov che ha iniziato scrivendo cose satiriche con una scrittura che si evoluta senza però dimenticare l'aspetto ironico». E le buone letture sembrano aver dato degli ottimi risultati, Oscar inclusi: «Ho scoperto una sceneggiatura così meticolosa - confida Matt Damon - una specie di orologio svizzero che ti permette di capire immediatamente come sarà sul grande schermo rendendo il lavoro degli attori facile, fin troppo...

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